I giudici si sono rifatti a una norma del ‘91 secondo la quale il medico in servizio di guardia deve rimanere a disposizione «per effettuare gli interventi domiciliari al livello territoriale che gli saranno richiesti
Il diritto alla salute comporta l’obbligo per un medico con funzioni pubbliche di tutelarlo. Per questo la visita domiciliare è obbligatoria. Almeno per quei pazienti che riferiscano di accusare sintomi gravi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con una decisione che potrebbe cambiare le consuetudini di medici di base e guardie mediche meno disponibili alle visite domiciliari. I giudici - riporta Il Messaggero - hanno confermato la condanna a quattro mesi e all’interdizione dalla professione per lo stesso periodo di un medico di guardia che si era limitata a dare consigli telefonici, dopo una chiamata di emergenza, anziché verificare le condizioni del paziente, che accusava un forte bruciore allo sterno accompagnato da irradiazione di dolore sulle braccia e sulle dita delle mani. La diagnosi era stata di gastroenterite e invece, successivamente, un infarto aveva portato alla morte dell’uomo. Il medico bolognese era finito a processo per omicidio colposo era stato assolto da questo reato e condannato per rifiuto di atti d’ufficio e la Cassazione ha confermato la sentenza.
I giudici si sono rifatti a una norma del ‘91 secondo la quale il medico in servizio di guardia deve rimanere a disposizione «per effettuare gli interventi domiciliari al livello territoriale che gli saranno richiesti» e durante il turno «è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dagli utenti».
Il caso esaminato dalla Corte era stato anche sottoposto, durante il primo grado, a una perizia collegiale che aveva stabilito come «l’ostinato rifiuto di eseguire la visita domiciliare andasse qualificato come rifiuto di atti di ufficio». L’imputata, nel suo ricorso aveva sottolineato la mancanza di dolo ma i giudici della Cassazione sottolineano: «le argomentazioni esposte dalla Corte di merito sono correttamente fondate sull’indebito e consapevole rifiuto della ricorrente di svolgere l’intervento domiciliare urgente, in assenza di altre esigenze del servizio (quali, ad esempio, contemporanee richieste di intervento urgente), a fronte dell’inequivoca gravità e chiarezza della sintomatologia esposta, per sincerarsi personalmente, pur nel dubbio, delle effettive condizioni del paziente e dell’eventuale situazione di pericolo in cui questi si trovava o meno, in base ad un esame clinico diretto». E concludono: «Il delitto contestato rientra tra i delitti contro la pubblica amministrazione in quanto sanziona il rifiuto consapevole del medico di adottare atti, senza ritardo, per la tutela del diritto alla salute che, ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione costituisce fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e, per questo, rende il sanitario portatore di funzioni pubbliche.
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