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Farmaci falsi: l’Onu denuncia le mafie cinesi e indiane

Farmaci Redazione DottNet | 04/05/2013 13:52

Nei primi tre mesi del 2013, i Nas hanno effettuato 1.300 controlli sui farmaci in circolazione, sequestrando materiale per un valore di 7 milioni e mezzo di euro. Sono scattate denunce per 587 persone, 13 sono state arrestate. Quasi un bollettino di guerra, che è solo la punta dell’iceberg di un business illegale e globale, scrive l’Avvenire.

  L’Onu ha lanciato l’allarme: ci sono le mafie internazionali dietro i traffici internazionali di farmaci contraffatti. Secondo un dossier inedito dell’Unicri (United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute), il crimine organizzato gestisce la produzione di massa e la distribuzione dei falsi, pericolosi perché contengono principi attivi insufficienti, inefficaci o addirittura sostanze tossiche. Secondo l’Interpol, il business finanzia anche alcuni gruppi terroristici.  Fabbricati in quantità industriali in Cina e India, ma anche nell’Europa dell’Est e in Messico, i «fake» vengono spediti sui mercati di tutto il mondo. Nei paesi sviluppati arrivano soprattutto sotto forma di antidepressivi, stimolanti, steroidi e pillole dimagranti (le cosiddette «lifestyle drugs»), mentre le nazioni in via di sviluppo vengono inondate di fasulli farmaci salvavita. Una vera e propria scelta di marketing criminale, che provoca danni gravissimi, spesso mortali. In troppi stati la falsificazione continua a essere percepita e sanzionata come semplice violazione della proprietà intellettuale, senza tener conto del devastante impatto sulla salute pubblica e sulle case farmaceutiche: se calano i profitti diminuiscono anche le risorse per la ricerca.  Il traffico delle medicine contraffatte attira le mafie come le api sul miele, perché offre profitti elevatissimi a fronte di rischi minimi. Un chilo di cocaina costa 1.470 euro e viene spacciato nelle strade a 67 mila euro (+4.600%). Un chilo di Sidenafil, principio attivo del Viagra, costa 60: trasformato in pasticche ne frutta 100 mila (+166.700%). Non sorprende perciò che sempre più criminali abbandonino il narcotraffico per dedicarsi ai farmaci contraffatti, prodotti spesso negli stessi laboratori dove si raffinano gli stupefacenti. In uno di questi, in Canada, la polizia sequestrò nel 2008 merce per un valore di 5 milioni di dollari: anfetamine e ecstasy, ma anche 25 mila pastiglie di falso Viagra. Nel 2010, il traffico globale ha generato un giro d’affari pari a 75 miliardi di dollari, in crescita del 92% rispetto al 2005. Si calcola che il 10% dei farmaci presenti sul mercato mondiale sia fasullo. Negli Usa, tra il 2000 e il 2006 l’incremento dei "tarocchi" è stato dell’800%. In Europa, in 5 anni sono stati riscontrati 27 casi di falsi introdotti nel circuito legale, più altri 170 scoperti nel mercato illecito. A fiutare il nuovo affare sono state soprattutto la mafia russa e le triadi cinesi, nonché i narcos colombiani e messicani, tra i primi a "diversificare" le attività.  Secondo l’Unicri, per arginare il fenomeno basterebbe applicare strumenti giuridici che in parte già esistono: la Convenzione Medicrime dell’Ue, ma soprattutto quella dell’Onu sul Crimine Organizzato Transnazionale, recepita in Italia attraverso la legge 146/06, che prevede l’aumento di pena fino alla metà per i reati commessi da un gruppo criminale internazionale. Ma le norme statali non sono uniformi e le mafie ne sfruttano le lacune. Inquinano la filiera di distribuzione oppure ricorrono a Internet, inesauribile dispensatore di medicine low cost ma pericolosissime: il 50% dei prodotti in vendita online è contraffatto. L’Europa non è immune da rischi. Secondo stime dell’Anti Counterfeiting Group, il 5% della popolazione del Regno Unito starebbe comprando farmaci contraffatti senza saperlo. L’Italia ha dotato ogni farmaco di un bollino a lettura ottica. Ma può non bastare se la criminalità reimballa i medicinali, sostituisce il contenuto o altera le scadenze.  Il mercato parallelo, secondo l’Unicri, sarebbe l’anello debole del sistema. Un farmaco prodotto o importato in uno Stato dell’Ue può esser venduto liberamente in altri Paesi membri, ma necessita di una nuova confezione con le indicazioni tradotte nella lingua della destinazione. La fase del "repackaging" presenta rischi potenziali, specialmente se sono coinvolti tanti intermediari.  I falsari imitano alla perfezione le confezioni, ma non si curano né del contenuto né della sua conservazione. Conta solo ingannare l’ignaro malato. 

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Fonte: Avvenire

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