In alcune regioni si continua a fare la terapia esclusivamente nei Centri di riferimento della malattia
L'86% dei pazienti colpiti da neuropatie disimmuni risponde bene alle terapie e il tempo della diagnosi, rispetto a dieci anni fa, si è ridotto da diversi anni a pochi mesi. Inoltre, il modello italiano spicca per efficienza in Europa, anche se in alcune regioni si continua a fare la terapia esclusivamente nei Centri di riferimento della malattia, con molti disagi per i pazienti che vivono in zone periferiche e lontani dalle grandi città. E' emerso nel corso del convegno "Neuropatie disimmuni acquisite: un esempio di buona sanità nelle malattie rare" che si è tenuto oggi in Senato. "L'ambito delle neuropatie disimmuni acquisite è uno spazio di buona sanità, che ha visto enormi passi in avanti", ha detto Massimo Marra, presidente dell'associazione Cidp Italia Onlus, l'Associazione italiana che riunisce i pazienti con neuropatie disimmuni acquisite.
"Dieci anni fa - ha spiegato - il tempo medio per la diagnosi era di circa un anno, oggi è sceso a qualche mese. Un risultato importantissimo". Cidp oggi ha lanciato #Lenostrestorie, un progetto innovativo di storytelling itinerante, prodotto da Barbara Bernardini, che 'non racconta la malattia, ma le persone', attraverso le voci di otto storie diverse accomunate da un unico obiettivo: offrire un messaggio di coraggio e fiducia nel futuro. "Le neuropatie disimmuni sono malattie rare e invalidanti, che possono influire sulla capacità di camminare o di afferrare gli oggetti e provocano perdita di sensibilità, formicolio o dolore a mani e piedi - ha spiegato Eduardo Nobile-Orazio, professore di Neurologia dell'Università di Milano - possono essere progressive oppure avere dei periodi di recupero e delle ricadute, o ancora diventare croniche. Ma in genere si tratta di situazioni che si risolvono, perché le terapie, che pure non guariscono la malattia, ne migliorano sensibilmente i sintomi".
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L’obbligo di prova, quindi, per il soggetto danneggiato, si ferma all’individuazione del cosiddetto nesso di causalità fra i due eventi
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La Società Italiana di Neonatologia (SIN) promuove da anni la donazione di latte umano, un vero salvavita per i bambini che non possono essere allattati al seno dalla propria mamma
Quici: "I veri problemi sono legati innanzitutto alla carenza di personale e quindi di chirurghi; c’è il blocco del tetto di spesa sul personale che dura da oltre 20 anni e che ancora non trova una soluzione"
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