La Cassazione (ordinanza 24167/2019) ha rinviato alla Corte d’Appello una sentenza che aveva chiesto al sanitario di provare la colpa della clinica in una causa di risarcimento danni
Tocca alla a clinica provare che un danno provocato dal medico sia dovuto solo all’imperizia del professionista e che non ci siano corresponsabilità da parte della struttura. E’ il motivo per cui la Cassazione (ordinanza 24167/2019) ha rinviato alla Corte d’Appello una sentenza che aveva chiesto al sanitario di provare la colpa della struttura in una causa di risarcimento danni.
L'onere della prova
Come affermato dalla Corte di cassazione, infatti, se la struttura sanitaria, a fronte di una responsabilità solidale, agisce in regresso nei confronti del medico, affinché nei loro rapporti interni si accerti l'esclusiva responsabilità di tale soggetto nella causazione del danno, è su di essa che grava l'onere di dimostrare tale esclusiva responsabilità.
La vicenda
Una paziente ha portato in giudizio la casa di cura dove era stata operata per l'inserimento di una protesi all'anca, chiedendo il risarcimento dei danni riportati per la non corretta esecuzione dell'intervento chirurgico. La struttura ha allora chiamato in causa il medico come responsabile dell’intervento e il Tribunale ha accolto la domanda di risarcimento della paziente, dichiarando la responsabilità della casa di cura e del medico e li condannava a risarcire i danni nella misura di euro 122.000 circa.
La Corte d'Appello accoglieva il ricorso della casa di cura sottolineando che alla responsabilità esterna della struttura prevista per dare maggiore garanzia ai danneggiati (art. 1228 c.c.) si associava nei rapporti interni l'ammissibilità del regresso anche per l'intera somma che il responsabile era stato condannato a pagare se fosse stato accertato che il danno fosse riconducibile unicamente alla condotta colposa del medico e che questa circostanza era stata accertata in primo grado e che il medico non avesse provato, e neppure evidenziato quale fosse la responsabilità della clinica.
L’ordinanza
Per la Cassazione però se la struttura sanitaria, “correttamente evocata in giudizio dal paziente” che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto a un intervento chirurgico al suo interno, sostiene che l'esclusiva responsabilità dell'accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico organizzative, ma solo alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l'operazione, chiedendo di essere esentata dal pagare quanto eventualmente fosse condannata a fare nei confronti della paziente e del chirurgo, deve provare l'esclusiva responsabilità di questo. “Non rientra invece nell'onere probatorio del chiamato – si legge nell’ordinanza - l'onere di individuare precise cause di responsabilità della clinica in virtù delle quali l'azione di regresso non potesse essere, in tutto o in parte, accolta”. La Cassazione ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso della clinica, accettando che la Corte d’Appello avrebbe violato la regola “sulla distribuzione degli oneri probatori, avendo posto in capo al medico l'onere di provare in cosa consisteva la corresponsabilità della clinica”.
Quindi i giudici hanno cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione per il riesame dei fatti “conformandosi al principio di diritto enunciato.
In pratica, riporta Quotidiano Sanità, se la struttura sanitaria, in caso di una responsabilità solidale, agisce in regresso (facendo ricadere tutta la colpa sul medico) nei confronti del medico, affinché nei loro rapporti interni si accerti l'esclusiva responsabilità di questo nel causare il danno, è lei a dover provare questa responsabilità esclusiva e "non rientra invece nell'onere probatorio del chiamato (il medico) l'onere di individuare precise cause di responsabilità della clinica in virtù delle quali l'azione di regresso non potesse essere, in tutto in parte, accolta". La casa di cura si è appellata perché il Tribunale non si era espresso sulla sua domanda di caricare la responsabilità sul solo medico perché dalla ricostruzione dei fatti emergeva che il danno alla paziente era stato provocato solo dalla imperizia con la quale il medico aveva eseguito l'intervento chirurgico, e chiedeva quindi la sua condanna al rimborso di quanto pagato alla paziente in esecuzione della sentenza di primo grado.
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