Oliveti (Enpam): "I bisogni di salute dei cittadini si soddisfano garantendo la possibilità di scegliere un medico di propria fiducia e assicurando una prossimità fisica"
“I “Medici di famiglia” forniscono assistenza di primo livello attraverso circa 60 mila studi di prossimità e la presenza nel domicilio dell’assistito ovunque si trovi, incluse le zone più disagiate, come nelle strutture residenziali. Egli è responsabile dell’erogazione di cure integrate e continuative a ogni singola persona indipendentemente dal sesso, dall’età e dal tipo di patologia. Cura ciascuno nel contesto della famiglia, della comunità e della cultura di appartenenza, adattandosi quindi alle condizioni di contesto in quanto parte di una vita più o meno buona. Con riferimento alla proposta di “pubblicizzazione”, ovvero di una trasformazione in dipendenti dei servizi sanitari regionali, gli effetti sarebbero dannosi in termini di diminuzione dell’assistenza al paziente, flessibilità organizzativa e maggiori costi”.
A bocciare la dipendenza per i mmg è un nuovo studio sul “Medico di medicina generale nei nuovi servizi socio-sanitari territoriali” realizzato da Mercer (società di consulenza nell'ambito delle risorse umane e degli investimenti) con il coordinamento dell'ex ministro del Welfare Maurizio Sacconi.
Secondo lo studio sono plurimi i problemi che si avrebbero con la dipendenza dei medici di famiglia:
1. minore partecipazione del paziente che perde libertà di scelta e rapporto fiduciario
2. maggiori costi indotti nella massa salariale della dirigenza medica pubblica dall’ingresso massivo di professionisti che provengono da un assetto retributivo pubblico particolare e si confrontano con il reddito di altri colleghi che uniscono abitualmente prestazioni pubbliche e private;
3. rigidità contrattuali e di legge (ferie, permessi, assenze e sostituzioni) che determinano orari di reperibilità più limitati per gli utenti, alta inamovibilità, insindacabilità dell'operato e in particolare del rispetto degli standard di servizio previsti;
4. minore formazione continua dei pubblici dipendenti rispetto all’autoapprendimento dei liberi professionisti oltre agli obblighi formativi che possono essere disposti dalle convenzioni;
5. moltiplicazione degli operatori necessari dovuta ai vincoli sull’orario di lavoro;
6. maggiori difficoltà nel coordinamento con altri medici e nella mobilità verso il paziente;
7. impossibilità di garantire la stessa prossimità dello studio medico privato e i tempi di visita a domicilio per la necessaria concentrazione delle sedi pubbliche;
8. oneri più consistenti per la finanza pubblica in relazione ai costi delle strutture e degli strumenti, ora a carico dei professionisti;
9. quota di compenso collegata alla performance usualmente ridotta e poco incentivante nel lavoro pubblico;
10. certa insostenibilità finanziaria dell’Enpam, la cassa previdenziale dei medici che operano nella libera professione.
Ma oltre alla dipendenza tout court lo studio boccia anche l’ipotesi del doppio binario: “L’ipotesi di una transizione, ancor peggiore se lunga, da un regime all’altro con il permanere “ad esaurimento” delle posizioni destinate a cessare è stata praticata solo all’interno del lavoro subordinato pubblico per assorbire differenze contrattuali in occasione di fusioni tra enti. In questo caso l’esperimento avrebbe effetti devastanti sui cittadini-pazienti perché sommerebbe due modelli di servizio radicalmente diversi con l’effetto probabile di riunire i vizi dell’uno e dell’altro”.
Ma in ogni caso lo studio non afferma che mantenere lo status quo sia la soluzione migliore: “Occorre piuttosto una drastica evoluzione della libera professione convenzionata che di fronte alle nuove responsabilità e opportunità di oggi e di domani deve organizzarsi in forme associate secondo il modello di cui all’art. 10 della legge 183/2011, già significativamente sperimentato da altre professioni come commercialisti, consulenti del lavoro, ingegneri, architetti e che ha portato, anche attraverso adeguamenti dei regolamenti previdenziali delle singole Casse, a non perdere contribuzioni. Un esempio è dato dalle società operanti nel settore odontoiatrico che versano un contributo integrativo pari allo 0,5 % del fatturato annuo alla gestione «Quota B» del Fondo di previdenza generale, ai sensi della legge di bilancio per il 2018”.
L’Ente di previdenza dei medici italiani vede di buon occhio il modello di riorganizzazione dei servizi sanitari territoriali individuato dalla società di consulenza Mercer in uno studio pubblicato questa settimana. "I bisogni di salute dei cittadini si soddisfano garantendo la possibilità di scegliere un medico di propria fiducia e assicurando una prossimità fisica, come quella degli studi presenti capillarmente in ogni zona d’Italia, e non a chilometri di distanza dalla propria abitazione – osserva il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti – . Di certo già dall’immediato futuro il medico di medicina generale andrà messo nelle condizioni di fare più gioco di squadra".
"Questo disegno, già previsto dal Pnrr, sarebbe impensabile se il medico di famiglia diventasse dipendente, con tutte le rigidità che questo rapporto comporta, anziché farlo restare un libero professionista parasubordinato – dice il presidente dell’Enpam – . Dovrà cambiare invece il meccanismo di remunerazione, prevedendo una soluzione mista tra una quota riconosciuta per ogni assistito (quota capitaria) e una quota per le ore lavorate, ad esempio, presso le case di comunità (quota oraria). Così, il medico potrà assicurare assistenza e cure primarie con tutte le modalità, sia ricevendo presso il proprio studio, sia andando al domicilio del paziente, sia mettendosi a disposizione per attività comunitarie per le ore richieste".
"È chiaro che il medico di medicina generale, anche se non dipendente, dovrà aderire obbligatoriamente alle iniziative concordate in Distretto, seguire criteri ben definiti per la presa in carico e per i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta), applicare linee guida e sottoporsi a indicatori di performance e a una valutazione dell’appropriatezza clinica – dice Oliveti – . Il medico convenzionato dovrà inoltre adottare standard assistenziali che prevedano vari gradi di integrazione professionale, dalle aggregazioni funzionali territoriali fino alle unità complesse di cure primarie e partecipare a società fra professionisti. In tal modo e con l’adeguato supporto tecnologico e tecnico-amministrativo, il medico di famiglia potrà però diventare un vero primario del proprio 'reparto' di medicina fiduciaria, al servizio della persona e della comunità".
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