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Cassazione, epatite dopo trasfusione e risarcimento: il danno è sul modo di essere della persona

Medlex Redazione DottNet | 14/11/2022 18:36

La Suprema Corte chiarisce che il danno risarcibile non è costituito solo dalla lesione di un diritto, la quale costituisce il presupposto per la sussistenza del danno, ma quest’ultimo deve manifestarsi come una perdita

In seguito ad una trasfusione di sangue infetto, un uomo contrae l’epatite B e C. L’emotrasfusione avviene nel 1979, ma l’uomo scopre il contagio nel 1999. Per sua stessa ammissione, non ha mai avvertito alcun sintomo sino alla diagnosi, avvenuta vent’anni dopo il fatto. La domanda a cui rispondere è la seguente, si legge sul sito Altalex: il risarcimento del danno deve essere liquidato dal momento in cui si è verificato il fatto illecito (ossia la trasfusione di sangue infetto) oppure dal momento in cui il soggetto ha avuto la consapevolezza del contagio e da quando ne sono derivate le conseguenze pregiudizievoli?

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 2 settembre 2022 n. 25887 (testo in calce), ritiene che la soluzione corretta al problema sollevato sia la seconda. Infatti, nei danni lungo-latenti, ossia i pregiudizi a decorso occulto, il danno-conseguenza non emerge immediatamente, ma può sorgere anche a distanza di anni rispetto al fatto illecito. Inoltre, sino a che la malattia provocata dall’agente patogeno non si manifesta «non si realizza alcun danno risarcibile in quanto il solo danno conseguenza costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto».

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Un uomo contraeva l’epatite (HBV e HVC) in seguito ad una trasfusione di sangue infetto effettuata nel 1979 durante un intervento chirurgico, ma scopriva la patologia nel 1999. Il danneggiato conveniva in giudizio il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno, poiché la sua vita era stata sconvolta a causa della malattia, delle continue visite e dell’assenza di prospettive di guarigione.

Nell’anno 2000, chiedeva il ristoro ai sensi della legge 210/1992 relativa a “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati”, come riporta Altalex

La Commissione ospedaliera riconosceva la sussistenza del nesso di causalità solo in relazione alla contrazione dell’epatite C.

Il Ministero della Salute, tra le varie censure, chiedeva il rigetto della domanda attorea, sostenendo la mancanza di prova del nesso causale, contestava il quantum richiesto dal danneggiato e la non cumulabilità del risarcimento con l’indennizzo previsto dalla legge. In primo grado, veniva accertata la responsabilità del Ministero con la conseguente condanna al pagamento di circa 73 mila euro con obbligo di detrazione delle somme percepite dall’attore ai sensi della citata legge 210/1992.

In sede di gravame, il giudice accoglieva le doglianze del danneggiato e liquidava il danno facendo riferimento all’età dell’attore al momento della contrazione del contagio (25 anni) e non all’età in cui lo aveva scoperto (47 anni), come, invece, aveva fatto il giudice di prime cure. Veniva accolto parzialmente anche l’appello incidentale proposto dal Ministero e il credito era rideterminato in circa 51 mila euro in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.

Si giunge così in Cassazione.

Nel caso di specie, è stato accertato il nesso di causalità materiale tra l’emotrasfusione (condotta illecita) e il contagio (evento dannoso). Prima di analizzare la pronuncia, ricordiamo che, nella responsabilità civile, la causalità si declina duplicemente:

  • la causalità materiale tra la condotta e l'evento (o causalità fondativa) fonda la responsabilità e ricorre quando il comportamento abbia generato o contribuito a generare l'evento;
  • la causalità giuridica descrive la responsabilità e tra le varie condotte collegate ad un determinato evento dannoso – in base alla causalità materiale – seleziona quelle che ne sono la causa giuridicamente rilevante1.

Quindi, prima si accerta il nesso eziologico tra la condotta (la trasfusione di sangue infetto) e l’evento dannoso (il contagio subito dal paziente), ossia si ha l’accertamento della causalità materiale; successivamente, occorre individuare le conseguenze pregiudizievoli riconducibili giuridicamente al fatto illecito, ossia la causalità giuridica (Cass. 23328/2019).

Il “danno-conseguenza” nei danni lungolatenti

Il Ministero della Salute - commenta Altalex - si duole del fatto che la sentenza gravata abbia considerato, per la liquidazione del risarcimento del danno, l’età che l’attore aveva al momento del sinistro (25 anni) in luogo di quella che aveva al momento della richiesta amministrativa (47 anni).

La Suprema Corte considera fondata la censura.

Dalle risultanze istruttorie è emerso che il danneggiato, sino al momento della scoperta della malattia (nel 1999), non aveva accusato alcun disturbo. Nel caso dei danni lungolatenti, ossia i danni a decorso occulto, il nesso tra il fatto lesivo (il contagio avvenuto nel 1979) e le conseguenze pregiudizievoli (emerse nel 1999) non è sincronico ma diacronico.

Cosa significa?

Semplicemente, il danno-conseguenza (in questo caso, l’insorgenza dell’epatite nel 1999) emerge non immediatamente, ma dopo un certo arco di tempo rispetto al fatto illecito (la trasfusione di sangue infetto nel 1979). Secondo gli ermellini, sino a che «l’agente patogeno innescato dal fatto illecito non si manifesta, non si realizza alcun danno risarcibile in quanto solo il danno conseguenza costituisce il parametro di determinazione del danno ingiusto». In buona sostanza, il danno non è presunto né coincidente con l’evento (danno in re ipsa), al contrario si tratta di un “danno-conseguenza”.

Dichiarazioni rese al CTU: dichiarazioni confessorie stragiudiziali fatte al terzo

Nel caso di specie, l’attore, per sua stessa ammissione, ha affermato in sede di CTU di non aver accusato alcun sintomo per circa vent’anni (dal 1979 al 1999). Pertanto, sino al 1999, anno in cui gli è stata diagnosticata l’epatite, l’uomo non può lamentare alcun danno-conseguenza.

Gli ermellini ricordano che le dichiarazioni a sé sfavorevoli rese dalla parte al consulente tecnico d’ufficio hanno il valore di dichiarazioni confessorie stragiudiziali fatte al terzo (art. 2735 c. 1 c.c.), le quali, pur non rivestendo l’efficacia di piena prova, concorrono alla formazione del convincimento del giudice (Cass. 24468/2020). Inoltre, il CTU può chiedere informazioni sia a terzi che alle parti – in relazione ai fatti connessi all’oggetto dell’incarico – senza necessità della previa autorizzazione del giudice. Il consulente deve indicare le fonti da cui scaturiscono le informazioni per consentirne il controllo delle parti e le suddette informazioni, ut supra ricordato, possono concorrere alla formazione del convincimento del giudicante. Inoltre, il CTU, nella veste di ausiliario del giudice, assume la qualità di pubblico ufficiale e il verbale da lui redatto, contenente tali informazioni, fa fede sino a querela di falso (Cass. 14652/2012).

Secondo la Suprema Corte, il giudice di merito ha errato nel liquidare il danno patito dall’attore a partire dall’età di 25 anni – periodo in cui egli ignorava il contagio e non aveva alcun sintomo – perché, in tal modo, il danno biologico si risolve in un danno in re ipsa.

Al contrario, il danno risarcibile è quello che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o dell’illecito (causalità giuridica). Il danno alla salute non si riduce nella semplice lesione dell’integrità psicofisica ma è la conseguenza del pregiudizio stesso sul modo di essere della persona. Secondo la giurisprudenza, «il danno biologico misurato percentualmente è pertanto la menomazione all’integrità psicofisica della persona, la quale esplica una incidenza negativa sulle attività ordinarie intese come aspetti dinamico-relazionali comuni a tutti» (Cass. Ord. 19153/2018). Il danno da lesione alla saluteè risarcibileallorché abbia come effetto la compromissione di una o più abilità del danneggiato nello svolgimento delle attività quotidiane e spazia dal “fare, all’essere, all’apparire”. Se la vittima non lamenta nessuna di queste conseguenze, la lesione alla salute non si traduce in un danno medico che sia legalmente apprezzabile e risarcibile (Cass. Ord. 7513/2018).

La perdita rappresenta l’essenza del danno risarcibile

Alla luce dei principi sopra esposti, ammettere il risarcimento per il danno alla salute di un soggetto che non lamenta alcun pregiudizio, porterebbe al risarcimento di un danno in re ipsa, ossia un pregiudizio solo astrattamente affermato ma concretamente non accertato. Una simile soluzione ammetterebbe il risarcimento in forza del riconoscimento del nesso di causalità materiale tra la condotta illecita (la trasfusione infetta) e l’evento (il contagio). Invece, è necessario accertare la causalità giuridica tra l’evento (il contagio) e le conseguenze dannose (la malattia, le cure, la limitazione delle proprie attività et cetera).

La Suprema Corte chiarisce che il danno risarcibile non è costituito solo dalla lesione di un diritto, la quale costituisce il presupposto per la sussistenza del danno, ma quest’ultimo deve manifestarsi come una perdita. Per il danno biologico:

  • «non vale la regola che, verificatosi l’evento, vi sia senz’altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo in modo preesistente al fatto dannoso» (Cass. 4991/1996)

Non è risarcibile il mero evento di danno, infatti, la stessa definizione legislativa di danno biologico prevede che la lesione della salute abbia avuto un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (art. 138 c. 2 lett. a) Codice delle Assicurazioni private).

La consapevolezza del contagio come presupposto per il risarcimento

La Corte ricorda che il danno alla salute può consistere (Cass. 26118/2021):

  • nella temporanea compromissione dell'integrità psicofisica;
  • nella permanente compromissione dell'integrità psicofisica;
  • nell'aumentato rischio di contrarre malattie in futuro;
  • nell'aumentato rischio di morte ante tempus.

Qualora il danno alla salute consista in uno di questi pregiudizi, esso è risarcibile purché il danneggiato abbia subito un pregiudizio nelle proprie attività quotidiane o sia consapevole dell’esistenza del contagio e tale consapevolezza gli abbia provocato un apprezzabile turbamento. In difetto di tali conseguenze, manca la perdita non patrimoniale che rappresenta l’essenza del danno risarcibile. Nel caso di specie, al momento del contagio (avvenuto nel 1979) il danneggiato non era edotto dell’accaduto e per vent’anni non ha subito alcun pregiudizio.

La compensatio lucri cum damno tra indennizzo e risarcimento

Nel ricorso incidentale, il danneggiato lamenta che il giudice di merito abbia applicato la compensatio lucri cum damno tra il risarcimento liquidato e l’indennità percepita (ex lege 210/1992).

La Suprema Corte considera infondata la doglianza.

La compensatio tra indennizzo e risarcimento è legittima, purché emerga dagli atti che l’indennizzo sia stato effettivamente versato. L’indennizzo versato ai sensi della citata legge 210/1992 può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno solo qualora:

  • risulti effettivamente corrisposto,
  • o determinato nel suo preciso ammontare,
  • o determinabile in base “a specifici dati della cui prova è onerata la parte che eccepisce il lucrum” (Cass. 32030/2021; Cass. 2778/2019; Cass. 14932/2013; Cass. 4785/2014; Cass. 9434/2016)

Nel caso in esame, agli atti risulta la prova documentale della corresponsione dell’indennizzo sino al 2009 e il danneggiato continua a percepirlo non essendo mai stato revocato tale beneficio.

Conclusioni: no al risarcimento di un danno in re ipsa

Gli ermellini confermano la propria giurisprudenza in materia di risarcimento del danno alla salute ed affermano quanto segue:

  • «Il danno da lesione della salute, per essere risarcibile, deve avere per effetto la compromissione d'una o più abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane, nessuna esclusa: dal fare, all'essere, all'apparire. Se non avesse alcuna di queste conseguenze, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile» (Cass. Ord. 7513/2018)

In conclusione, la Suprema Corte accoglie il ricorso principale presentato dal Ministero della Salute, mentre rigetta il ricorso incidentale promosso dal danneggiato. La sentenza gravata viene cassata con rinvio alla corte d’appello in diversa composizione.

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