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Anaao: introduciamo la responsabilità professionale medica alla francese. Non chiediamo sconti, ma un sistema più equo. Tutti i numeri e i dati

Professione Redazione DottNet | 10/06/2025 14:18

Un medico su tre ha subito una denuncia penale e/o civile. Ma solo il 3% viene condannato

Un medico su tre ha subito una denuncia penale e/o civile. Ma solo il 3% viene condannato

"Introduciamo anche in Italia il modello francese cosiddetto ‘no fault’ che permette ai pazienti di ottenere un risarcimento per danni derivanti da trattamenti medici senza dover dimostrare la loro colpa e ai professionisti di lavorare con maggiore serenità". Questa la proposta dell’Anaao Assomed presentata nel corso del convegno dal titolo "Ma che colpa abbiamo noi. I confini della responsabilità professionale in sanità" che si è svolto a Roma il 10 giugno.

"Molti paesi in Europa – ha sottolineato il Segretario Nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio - hanno sostituito il concetto di risarcimento con il concetto di indennizzo, che non presuppone la ricerca di un colpevole e salvaguarda i diritti dei cittadini. Ed è proprio questo il modello che vorremmo mutuare al quale riconosciamo alcuni punti di forza: riduzione del carico psicologico sui medici legati alla paura di essere processati per errori o imprevisti; incentivi alla collaborazione e alla comunicazione tra medici e pazienti, incoraggiando una maggiore trasparenza e fiducia reciproca; riduzione dei costi legali e dei processi liberando risorse per la cura; maggiore attenzione alla prevenzione degli errori medici, attraverso la formazione e l'adozione di protocolli più efficaci; tutela della reputazione professionale evitando che singoli errori possano compromettere la loro carriera".

 "In base a questo modello – ha spiegato Di Silverio - il paziente può scegliere di ottenere un indennizzo economico rinunciando a intraprendere un’azione legale: in questo modo ha la certezza di venire risarcito (98 per cento dei casi approvati da una commissione) e al tempo stesso contribuisce a snellire tempi di attesa e file nei tribunali".

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"Nel frattempo invece nel nostro Paese – ha concluso Di Silverio - la riforma della responsabilità professionale viaggia su un binario morto. Dopo il flop della Commissione D’Ippolito, orfana di medici, che ha portato a un documento sonoramente bocciato dalla categoria, non c’è più traccia di un intervento che possa contribuire a distendere il clima che si respira nelle corsie. Non certo per rendere impunibili i professionisti, ma per creare un sistema di responsabilità professionale più equo ed efficiente, che garantisca la tutela dei pazienti e la serenità dei medici, senza escludere la possibilità di gestire correttamente eventuali errori".  Un medico su 3 ha ricevuto una denuncia. Di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Ed è la chirurgia ad essere nel mirino della magistratura con oltre l’82% dei casi segnalati. I più colpiti sono gli uomini over 55 anni che lavorano in ospedali con meno di 500 posti letto. Si vive un clima di caccia alle streghe al punto che almeno 1 camice bianco su 3 pensa di licenziarsi e il 47% rinuncia a ruoli di maggiore responsabilità.

Questi i dati che emergono dalla survey condotta dal Centro Studi dell’Anaao Assomed su un campione rappresentativo di camici bianchi equamente distribuito tra uomini e donne in età compresa tra i 25 e 65 anni con una anzianità di servizio che va dall’ingresso alla pensione. Rispetto ai procedimenti giudiziari conclusi, solo il 3% circa si è risolto con una condanna. Ma a che prezzo? L’imbocco del tunnel di un processo civile e penale costituisce una penosa esperienza professionale e umana nella quale si passa, grazie anche a una disinvolta pressione mediatica, da indagato a imputato a condannato, prima ancora che il processo sia iniziato. La maggioranza dei casi si conclude con l’assoluzione. Oggi i profili di responsabilità professionale si muovono lungo il sentiero angusto delineato dell’intersecarsi di 4 codici (deontologico, disciplinare, civile e penale), senza che sia chiaro il primato di ciascuno e le relazioni tra di loro. 

Analizzando i numeri nel dettaglio emerge con chiarezza la gravità della situazione.

Il 32,8% dei rispondenti ha dichiarato di aver ricevuto almeno una denuncia (civile e/o penale) nel corso della propria attività professionale. Denunce di tipo penale nel 43,6% dei casi, civile nel 30,8% e addirittura di entrambe le tipologie nel 25,6%. Il 22,3% riporta di avere ricevuto almeno una denuncia penale nel corso della propria carriera, il 35,6 % di loro più di una denuncia. La distribuzione delle denunce per specializzazione vede ai primi posti Ginecologia: 70%, Cardiochirurgia: 70%, Chirurgia generale 66,2%. A seguire Ortopedia: 65,2%, Pronto Soccorso (PS): 53,3%, Cardiologia: 44,9%, Medicina interna: 42%, Radiologia: 38,6%, Anestesia: 37,3%, Direzione medica di presidio ospedaliero 38,5%, Psichiatria: 16,3%.

Anche la Distribuzione per macro-area disciplinare vede al primo posto la Area chirurgica: 239 su 393 (60,8%), seguita da Area medica: 296 su 929 (31,9%) e Area dei servizi: 89 su 584 (15,2%). La distribuzione geografica segna una prevalenza al Sud e Isole con una percentuale del 39,8%. Al secondo posto il Centro Italia (38,2%), e al terzo posto Nord (27,2%). Se guardiamo, poi, alla loro distribuzione in base alla dimensione della struttura ospedaliera, il primato spetta agli Ospedali con meno di 500 posti letto (37,6%), seguiti da quelli dotati di un numero di posti letto compresi tra a 500 e 1000 32,2%. Quelli con oltre 1000 posti letto registrano il tasso più basso (28,4%).

Se guardiamo al numero di Denunce in base a sesso, anzianità di servizio e area professionale la situazione è la seguente: 

    • Donne in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 71,1%
    • Uomini in area chirurgica con > 20 anni di anzianità: 86,2%
    • Totale (M+F) area chirurgica > 20 anni di anzianità: 82,3%

La chirurgia: un’area ad alto rischio giudiziario

È nell’ambito chirurgico che si registra il tasso più elevato di denunce. In alcune specialità come ginecologia, ortopedia e chirurgia generale, la probabilità di essere denunciati supera il 65%, raggiungendo in ginecologia e cardiochirurgia addirittura il 70%. In altre parole, 7 professionisti su 10 che operano in queste discipline hanno avuto almeno una volta a che fare con un procedimento legale. Un dato che evidenzia quanto la chirurgia, per la sua natura invasiva e ad alta complessità, sia particolarmente esposta al contenzioso. 

Le differenze tra aree disciplinari e geografiche

Anche considerando le grandi aree di specializzazione, la chirurgia si conferma la più colpita, con un tasso di denuncia doppio rispetto alla area internistica (60,8% vs 31,9%). I servizi (radiologia, anestesia, psichiatria, ecc.) si mantengono invece su valori decisamente più contenuti (15,2%). Dal punto di vista geografico, emerge un gradiente crescente da nord a sud: si passa dal 27,2% del nord al 39,8% del sud e isole, con un picco del 65,9% nella sola area chirurgica meridionale. È difficile non interrogarsi sulle cause di questa disparità: carenze strutturali, sovraccarico dei servizi, contesto socio-economico e fiducia nei confronti del sistema sanitario potrebbero tutti giocare un ruolo.

Anzianità di servizio e genere

L’esperienza non protegge. Anzi, tra i professionisti con oltre 20 anni di carriera, i tassi di denuncia crescono sensibilmente, soprattutto in ambito chirurgico. Il dato più impressionante riguarda i chirurghi uomini con lunga anzianità: l’86,2% ha subito almeno una denuncia. Se si considerano uomini e donne insieme, la percentuale scende poco: oltre 8 su 10 (82,3%). Questo significa che più di 6 chirurghi uomini su 7, e 5 chirurghi di qualunque genere su 6, con almeno vent’anni di attività, sono stati oggetto di un procedimento giudiziario. Si tratta di numeri che non possono essere considerati fisiologici, ma che segnalano una situazione strutturalmente critica.

Strutture piccole, rischio maggiore

Anche la dimensione dell’ospedale sembra influire sul rischio di denuncia: i professionisti che lavorano in strutture con meno di 500 posti letto riportano una frequenza di denunce significativamente più alta (37,6%) rispetto a chi opera in ospedali più grandi (28,4% oltre i 1000 posti letto). Probabilmente, nei contesti più piccoli, la minore disponibilità di risorse, la carenza di personale e l’assenza di équipe strutturate aumentano il rischio di errore e la vulnerabilità legale. "I risultati della survey – commenta Pierino Di Silverio Segretario Nazionale Anaao Assomed - delineano un quadro di grande tensione per chi lavora nella sanità pubblica italiana, soprattutto per i medici che operano in ambiti ad alta intensità tecnica e decisionale. L’alto numero di denunce – anche penali – suggerisce non solo un aumento del contenzioso, ma anche un clima di sfiducia e di conflittualità tra cittadini e sistema sanitario. Nessuna meraviglia se l’85% di chi ha partecipato alla survey si sente a maggior rischio nella attività lavorativa e il 90% confessi di avvertire una pressione maggiore. Al punto da avere pensato a licenziarsi 1 collega su 3 e a rinunciare a ruoli di maggiore responsabilità, avvertiti come di maggior rischio, nel 47% dei casi".

"La questione delle denunce – prosegue Di Silverio - non è solo un problema individuale, ma sistemico. È necessario avviare una riflessione profonda sulle condizioni di lavoro dei medici, sulle politiche di tutela professionale, sulla formazione e sul dialogo con i pazienti, per prevenire il contenzioso e restituire serenità a chi ogni giorno garantisce cura e assistenza". "L’Anaao Assomed ritiene sia interesse di tutti governare un fenomeno che è parte costitutiva dell’obbligo di garantire i Lea a tutti i cittadini del Paese per rispondere nel migliore dei modi al diritto alla sicurezza delle cure per i cittadini e gli operatori". "Dopo la Legge 24/2017 Gelli-Bianco, che ha certo segnato passi avanti, specie sul piano della responsabilità civile, servono – a giudizio di Di Silverio - nuovi strumenti legislativi, quali la definizione di nuovi principi in tema di formazione dell’albo dei consulenti tecnici; il passaggio ad un sistema assicurativo no fault, sul modello francese e scandinavo, svincolato dalla necessità di provare le responsabilità, al fine di ridurre il contenzioso legale; un diverso inquadramento penale della responsabilità medica; un maggiore ruolo riconosciuto al GIP". "Ma servono anche – conclude Di Silverio - nuovi approcci culturali, a cominciare dal riconoscimento dell’innegabile peculiarità della professione medica e delle sue caratteristiche di specificità ed interesse sociale nonché delle crescenti difficoltà del contesto in cui essa oggi si esprime. Come ha, peraltro, riconosciuto il provvedimento legislativo sullo ‘scudo penale’, sia pure per un periodo limitato".

Le relazioni

La responsabilità penale dei professionisti della sanità:  la stabilizzazione della colpa grave

 Cristiano Cupelli - Professore ordinario di diritto penale Università di Roma Tor Vergata

L'intervento punta a offrire una riflessione a mente fredda sull'opportunità di un nuovo intervento legislativo in tema di responsabilità colposa degli operatori sanitari che, facendo tesoro dei limiti dell'odierno contesto normativo e giurisprudenziale, ridisegni i confini applicativi della non punibilità oltre gli angusti margini della sola imperizia lieve nella fase esecutiva. A tal fine, recuperando e valorizzando taluni spunti di rilievo dell'art. 3-bis del d.l. n. 44 del 2021 e dei due nuovi commi 8-septies ed 8-opties dell'art. 4 del decreto milleproroghe, si propone una riformulazione dell'art. 590-sexies c.p.  Più nel dettaglio, ai propone una soluzione volta a circoscrivere la responsabilità penale del sanitario alle sole ipotesi di colpa grave (di qualunque matrice colposa: non solo imperizia, dunque, ma pure negligenza e imprudenza) e sulla previsione di taluni parametri in base ai quali operare la valutazione della colpa, tra i quali: a) lo stato delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie, la cui eventuale limitatezza potrà incidere sull'individuazione tanto dell'esatto quadro patologico quanto, e conseguentemente, delle più appropriate terapie; b) le concrete condizioni di lavoro e la disponibilità delle risorse umane e materiali in relazione al numero dei casi da trattare, la cui eventuale scarsità potrà poi riflettersi sull'adeguata gestione e cura dei pazienti; c) il grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale impiegato per affrontare una situazione di urgenza ed emergenza, che si riverbera sulla misura soggettiva di rimproverabilità; d) il tipo di rischio da gestire e la concreta situazione operativa; e) le carenze strutturali e organizzative, che se gravi possono incidere sul grado di rimproverabilità individuale.  In questa elencazione potrebbe collocarsi - indice tra gli indici e non elemento primario e centrale - la presenza o non di linee guida, assumendo rilievo anche le fonti internazionali che non abbiano ancora completato il percorso di accreditamento (spesso macchinoso e dai tempi incerti).  L’esplicitazione di tali indici consentirebbe una ragionevole uniformità nell'accertamento giudiziale, contribuendo fra l'altro a sterilizzare la pericolosa tendenza alla perversa logica del senno del poi, sempre più frequente anche in questa area della colpa.  Un intervento ragionevole, in definitiva, che, stabilizzando e completando le norme introdotte con il milleproroghe,  troverebbe piena giustificazione nella duplice esigenza - davvero ineludibile - di 'tranquillizzare' la classe medica, scongiurando la tentazione di atteggiamenti di medicina difensiva (i cui costi economici e disfunzionali sono drammaticamente ben noti), e di valorizzare la peculiarità dell’attività sanitaria, che non appare, in questa fase storica, comparabile con altre attività professionali, prive di analogo significato sociale per la salute collettiva e non implicanti così frequenti rischi e responsabilità, restituendole al contempo quell'attrattività per le generazioni future. che l'ha sempre caratterizzata e nobilitata.

I professionisti sanitari tra la disciplina della responsabilità e la medicina difensiva

Mariella Mainolfi - Direttore generale delle professioni sanitarie e delle politiche in favore del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della salute

L’intervento ha la finalità di analizzare come il contesto in cui da anni operano i professionisti del SSN e la disciplina in tema di responsabilità professionale vigente prima degli interventi normativi di natura transitoria abbiano condizionato l’attività medica, trasformando l’approccio di molti operatori sanitari verso le cure. Il rapporto tra la medicina difensiva e la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie determina, da parte dei medici, molto spesso decisioni assunte per prevenire eventuali implicazioni giudiziarie. Basti pensare, ad esempio, all’eccesso di prescrizioni di esami e visite (c.d. inappropriatezza prescrittiva) che non giova, tra le altre cose, al buon governo delle liste d’attesa. Tale fenomeno, inoltre, mina il rapporto medico paziente, che è diventato sempre più fragile, e ha un impatto negativo sulla qualità delle cure, oltre che sull’efficienza e sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. In tale contesto viene soprattutto esaminata l’evoluzione del quadro normativo in materia di responsabilità professionale fino agli ultimi interventi nei decreti-legge “Milleproroghe” di fine anno (2023 e 2024). Questi ultimi, dando rilevanza alla sola “colpa grave”, quale limitazione della punibilità per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose qualora il fatto sia stato commesso nell’esercizio di una professione sanitaria al configurarsi di specifiche situazioni e alla presenza di determinati fattori condizionanti, rappresentano una vera e propria novità rispetto ai pregressi interventi normativi, che invece si basavano soprattutto sulle valutazioni da parte del giudice della condotta del professionista sanitario con l'esclusione dell'illecito penale nel solo caso di imperizia (sempre ove siano rispettate le linee guida o le buone pratiche). E’ dalla disciplina transitoria, iniziata con i provvedimenti emergenziali e proseguita con i citati decreti “Milleproroghe”, che sarebbe importante partire per completare il percorso di ripensamento strutturale della colpa medica, che non può non tener conto delle condizioni di lavoro, del contesto organizzativo, dell’entità delle risorse disponibili, del livello di esperienza maturata in relazione alla complessità del caso o comunque di parametri che mirino a fornire una valutazione più equa e contestualizzata della responsabilità professionale. Si tratta di una riforma delicata che deve garantire il giusto equilibrio tra la tutela della salute del paziente e la tutela giuridica piena dello stesso, da un lato, e il benessere lavorativo del sanitario, la serenità del medico quando opera, dall’altro, al fine di ricostruire il rapporto di fiducia con i pazienti e porre fine ai costi economici e sociali, oltre che alla pressione mediatico-giudiziaria con il conseguente pregiudizio reputazionale, considerata la delicatezza del ruolo.  Il Ministero della salute, sempre disponibile ad ascoltare le parti sociali e i rappresentanti di tutte le professioni sanitarie, sta lavorando su questa tematica consapevole dell’importanza di tale riforma per migliorare l’attrattività delle professioni e del SSN.

Ridurre il contenzioso: tra scudo penale e modello no fault

Chiara Rivetti - Componente Esecutivo Nazionale Anaao Assomed

Il contenzioso in ambito sanitario continua a crescere, alimentando un uso sempre più diffuso della medicina difensiva, con gravi ricadute su efficienza del sistema, costi sanitari, liste d’attesa e qualità dell’assistenza. La maggior parte delle denunce penali contro i medici si conclude senza condanna, ma lascia effetti pesanti sul piano personale e professionale. Per affrontare questa distorsione, si propone una riforma organica della responsabilità sanitaria, fondata su due direttrici complementari: rafforzare lo scudo penale e introdurre un modello no fault per l’alea terapeutica. Lo scudo penale, introdotto in fase emergenziale durante la pandemia da Covid-19, ha dimostrato di essere uno strumento efficace per proteggere i professionisti quando operano in condizioni straordinarie. L’obiettivo è ora renderlo strutturale, limitando la responsabilità penale ai soli casi di colpa grave, a prescindere dalla causa specifica (imperizia, negligenza o imprudenza), e introducendo parametri oggettivi per valutare il contesto clinico, organizzativo e professionale in cui si verifica l’evento. È inoltre urgente ridefinire il termine di prescrizione per rendere più certo il perimetro temporale della responsabilità. Un ulteriore elemento utile per contenere il ricorso improprio alla giustizia penale è il rafforzamento dell’istituto della lite temeraria, previsto dall’art. 96 c.p.c., che consente di sanzionare chi agisce in giudizio con malafede o colpa grave. La sua applicazione più incisiva nel contesto sanitario permetterebbe di arginare le denunce infondate, disincentivare il contenzioso strumentale e contrastare la medicina difensiva. È uno strumento semplice ma efficace per riportare equilibrio tra diritto alla tutela e protezione del lavoro medico. Accanto a questi interventi, si propone l’adozione di un fondo nazionale per l’alea terapeutica, sul modello di Paesi come Francia o Svezia, che garantisca un indennizzo al paziente anche in assenza di colpa del medico. Questo sistema “no fault” riconosce che non tutti gli eventi avversi sono evitabili, e che perseguire penalmente un medico per un danno non prevenibile non solo è ingiusto, ma anche controproducente per il sistema sanitario. Il doppio binario che oggi esiste tra responsabilità civile, penale e amministrativa crea sovrapposizioni e incertezza. Serve invece una giustizia più proporzionata, che agisca solo dove davvero esiste una responsabilità, e che tuteli il diritto del cittadino alla cura senza trasformare ogni complicanza in un processo. In questo quadro, l’introduzione di strumenti come il fondo no fault rappresenta una riforma culturale: spostare il focus dalla ricerca del colpevole alla presa in carico del danno, in un’ottica di equità, rapidità e rispetto per il lavoro dei professionisti sanitari.

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