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Liste d'attesa, raggiunto l'accordo fra Governo e Regioni: stop ai vincoli su salario accessorio e riordino delle professioni

Sanità pubblica Redazione DottNet | 13/06/2025 15:55

Anaao: "Criticità con il reclutamento del personale dall’estero e strutture complesse agli universitari". Cimo: "Sanciti principi che potrebbero trasformarsi in boomerang per fondi e carriere dei medici"

Sembra che tra governo e le regioni si sia raggiunto un accordo sulla gestione delle liste d’attesa e in particolare sui cosiddetti poteri sostitutivi, una sorta di commissariamento che il ministero della Salute vuole imporre alle regioni quando queste vengono ritenute inadempienti. E proprio i poteri sostitutivi avevano bloccato la discussione e quindi l’applicazione del decreto per la riduzione delle liste d’attesa. "Bene l’intesa Stato-Regioni sul decreto che disciplina i poteri sostitutivi. Ringrazio il presidente Fedriga e ora andiamo avanti, insieme alle Regioni, con la piena attuazione della legge per abbattere le liste d’attesa e garantire ai cittadini servizi sempre più efficienti", ha commentato  il Ministro della Salute dopo aver raggiunto l'intesa nella Conferenza Stato-Regioni.

Il decreto, di cinque articoli, è ispirato ai principi di trasparenza dell’azione amministrativa e leale collaborazione tra Stato e Regioni.

L’esercizio dei poteri sostitutivi è previsto in caso di mancata nomina del Responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria (RUAS) nonché qualora il RUAS o le Regioni non svolgano i compiti, connessi alla problematica delle liste di attesa, loro affidati ai sensi della legge o nei casi di inadempienza parziale o totale degli obiettivi indicati dalla legge. Ora governo e regioni hanno contrattato le modalità di questo commissariamento, e il decreto potrà infine essere applicato (anche se era già stato approvato, mancavano le norme che dicessero come metterlo in pratica). Inizialmente il decreto prevedeva che il ministero potesse subentrare alla gestione regionale in caso di accertate irregolarità sulle liste d’attesa. Una delle più note e gravi, per esempio, è la chiusura delle agende di prenotazione, cioè l’impossibilità di prenotare perché non c’è posto, nemmeno a mesi di distanza. Nonostante sia una pratica piuttosto diffusa, è vietata dalla legge: le strutture sanitarie pubbliche devono sempre avere a disposizione appuntamenti, anche a costo di rivolgersi a strutture private convenzionate a cui commissionare la prestazione che non si riesce a garantire.

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Per rendere operativo il decreto serviva l’approvazione delle regioni, che tuttavia si erano sempre opposte perché consideravano i poteri sostitutivi un’ingerenza eccessiva dello Stato nella gestione della sanità, di competenza regionale. Le trattative sono durate mesi e hanno riguardato la definizione dei tempi di questo possibile commissariamento. Il decreto riscritto prevede che l’organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria, gestito dal ministero della Salute, possa sostituire le regioni dopo una serie di inadempienze: dopo la prima segnalazione le regioni hanno 30 giorni di tempo per difendersi, presentando delle contro osservazioni; in caso di risposte assenti o insufficienti hanno 60 o 90 giorni rispettivamente per risolvere i problemi segnalati. Trascorso anche quel periodo – in totale al massimo quattro mesi – l’organismo di verifica e controllo prenderà in gestione il problema oppure potrà obbligare la regione a seguire precise indicazioni, verificando poi che vengano messe in pratica. Nel caso in cui le regioni non dovessero nominare il responsabile unico regionale dell’assistenza sanitaria (il cosiddetto Ruas, che deve garantire il corretto funzionamento delle liste d’attesa), la nomina verrà fatta direttamente dall’organismo di verifica e controllo. Il decreto per la riduzione delle liste d’attesa: prevede tra le altre cose la creazione di una piattaforma nazionale delle liste d’attesa, un sistema per controllare che le regioni rispettino le priorità indicate sulla ricetta. Un’altra misura riguarda i centri di prenotazione regionale, che dovranno comunicare alle persone i tempi di attesa sia degli ospedali pubblici che di quelli privati accreditati.

I sindacati: Anaao

"Proseguire il confronto Sindacati-Regioni con un tavolo permanente sul personale del Ssn". Questa la richiesta dell’Anaao Assomed presentata durante il confronto odierno con il Coordinatore della Commissione Salute delle Regioni e con il Presidente del Comitato di Settore Sanità sul documento redatto dalle Regioni. Il documento ad avviso dell’Anaao Assomed presenta alcuni punti di forza che assecondano posizioni dell’Associazione. Anzitutto il superamento dei vincoli che di fatto bloccano il salario accessorio e che ne impediscono l’implementazione. Tra le principali ragioni di fuga dal sistema sanitario nazionale, infatti, oltre alla mancata progressione di carriera, c'è proprio quella di una retribuzione economica che rende poco appetibile la sanità pubblica a vantaggio di quella privata e che inoltre spinge numerosissimi colleghi ad andare a lavorare all'estero. Altro punto di forza è rappresentato dalla la trasformazione digitale. È inammissibile che nel 2025 alcune aziende sanitarie pubbliche utilizzino la cartella cartacea e scrivano a mano.  Infine, tra gli aspetti positivi indichiamo il riordino delle professioni, tema su cui l’Anaao Assomed è in totale accordo.

I passaggi del documento che invece registrano il segno meno, riguardano anzitutto il reclutamento del personale dall’estero. Il rischio concreto è di non riuscire a valutare la qualità della formazione di questi colleghi, soprattutto di coloro che provengono dai Paesi in via di sviluppo, con il pericolo di una sotto qualificazione, ma soprattutto di una bassa retribuzione che potrebbe portare a un mercato al ribasso della professione. L'accesso al pubblico impiego e ai concorsi merita una riflessione particolare. La direzione che l’Anaao Assomed auspica è quella della semplificazione delle procedure di accesso. È inaccettabile che ad oggi sia necessaria una prova preselettiva, oltre che scritta, pratica e orale, con notevole dispendio di tempo, di risorse umane ed economiche, ma soprattutto in antitesi con quanto succede in altri Paesi europei. Altro tema sottolineato dall’Anaao Assomed nel corso del confronto è quello che riguarda l'affidamento delle strutture complesse al personale universitario. In tantissime realtà del nostro Paese si assiste a una sorta di cannibalizzazione delle strutture complesse a vantaggio di professori universitari prevalentemente ordinari e a discapito dei dirigenti medici per i quali l'accesso è subordinato a una procedura di avviso pubblico di selezione. È necessario dunque, per l’Anaao Assomed, mettere in atto misure di semplificazione, trasparenza e proporzionalità per ristabilire un equilibrio attraverso una normativa nazionale che possa permettere l'accesso anche alle apicalità in modo omogeneo alla Dirigenza medica e sanitaria.

Cimo-Fesmed

Le azioni proposte dalla Conferenza delle Regioni nella bozza di documento vanno dall’adeguamento dei salari ai percorsi di carriera, dall’esigibilità dei contratti al welfare: misure ritenute senz’altro condivisibili dalla Federazione CIMO-FESMED, ma solo ed esclusivamente se supportate da un adeguato finanziamento statale. In caso contrario, il documento sancirebbe dei principi destinati a rimanere lettera morta o a trasformarsi in un boomerang per i medici. Poiché infatti è altamente improbabile che in questo particolare momento storico il Governo riesca ad aumentare le risorse destinate alla sanità, le Regioni propongono di superare l’impasse sbloccando il tetto al salario accessorio, che consentirebbe loro di stanziare maggiori risorse per il personale: «Dovremmo tuttavia trovare il modo di scongiurare il rischio di un’eccessiva regionalizzazione contrattuale - commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED –. Potremmo infatti trovarci dinanzi a importanti differenze sul territorio nazionale, con le Regioni più ricche pronte ad investire milioni di euro per offrire migliori condizioni economiche e attrarre professionisti, e le Regioni più in difficoltà dinanzi a un bivio: o consentire al proprio Servizio sanitario regionale di perdere ulteriormente medici e professionisti sanitari, oppure attingere ai fondi contrattuali dei medici per finanziare i principi previsti dal documento». Tra questi, ad esempio, compare "la piena equiparazione dei dirigenti medici, sanitari e delle professioni sanitarie", considerato che attualmente per questi ultimi sono previste alcune voci retributive inferiori rispetto al resto della dirigenza. In assenza di risorse aggiuntive, il finanziamento di tale equiparazione potrebbe verosimilmente avvenire attraverso un prelievo forzato dai fondi dei medici. «Un’eventualità inaccettabile – dichiara Quici - poiché non possono essere sempre i medici a rinunciare ai loro soldi per finanziare le pur legittime aspirazioni di altre professioni».

Similmente, la Conferenza delle Regioni propone di incentivare l’adozione di percorsi di carriera per tutti i dirigenti, ma poiché le stesse Regioni hanno imposto un tetto al numero di unità complesse e semplici, oggi affidare una direzione di struttura ad un dirigente non medico significherebbe togliere un posto ad un medico. «Se si vuole davvero incentivare la carriera dei dirigenti occorre dunque eliminare gli attuali limiti», aggiunge Quici.  Si torna poi a parlare di "revisione e semplificazione dei profili professionali" introducendo "modelli organizzativi più flessibili e orientati al lavoro multidisciplinare": «Rischiamo seriamente di passare dal task shifting al task sharing, senza prevedere una formazione adeguata di tutti i professionisti coinvolti e, soprattutto, senza modificare i profili della responsabilità sanitaria, che allo stato attuale colpisce pressoché esclusivamente i medici – prosegue Quici -. Occorre invece definire in modo chiaro le competenze di ciascuna professione e affidare in modo esplicito ed esclusivo l’atto medico (dunque diagnosi, prognosi e terapia) al medico. L’anarchia delle competenze può mettere a rischio la sicurezza delle cure».

«Sono poi senz’altro apprezzabili – aggiunge – le proposte in tema di esigibilità dei contratti, ma la nostra precisa richiesta è l’emanazione dell’atto di indirizzo del CCNL 2022-2024, che non può essere vincolata alla condivisione del documento in discussione. Concordiamo sulla necessità di regolamentare l’affidamento della direzione delle strutture apicali agli universitari, che oggi penalizzano i medici ospedalieri, e rilanciamo la necessità di valorizzare economicamente il ruolo di tutoraggio degli specializzandi svolto dal personale dipendente del SSN. Infine condividiamo l’intenzione di stigmatizzare nel documento la grave situazione del personale dipendente della sanità privata accreditata, senza contratto da anni e vittima di dumping salariale». «Ci auguriamo – conclude Quici – che i prossimi confronti con la Conferenza delle Regioni possano essere altrettanto proficui come quello odierno, e che nel testo siano apportate le modifiche necessarie a scampare i pericoli da noi denunciati».

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