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Allarme Agenas: medici troppo anziani e specialità sempre meno attrattive. Pochi infermieri, crollano le iscrizioni ai corsi

Professione Redazione DottNet | 03/10/2025 17:45

L'Italia presenta un numero di medici per 1.000 abitanti superiore alla media europea (5,35 contro 4,07), a fronte di un numero di infermieri al di sotto della media (6,86 per mille contro 8,26)

Nel 2023 anno il personale dipendente del servizio sanitario nazionale è cresciuto di circa 20 mila unità rispetto all'anno precedente, passando da 681.852 a 701.170 unità con una crescita di quasi il 3%. Ciononostante, restano forti carenze soprattutto nella disponibilità di infermieri e di alcuni specialisti. C'è preoccupazione, inoltre, per il futuro quando un numero cospicuo di professionisti uscirà dal mercato del lavoro senza un ricambio sufficiente. Sono i trend che emergono dal rapporto "Il personale del Servizio Sanitario Nazionale" realizzato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas).   Il rapporto mostra come, dopo un brusco calo del personale sanitario che ha portato alla perdita di circa 30 mila unità tra il 2014 e il 2019, dalla pandemia il numero di professionisti ha ripreso a crescere e nel 2023 si contavano 51.647 mila operatori in più rispetto al 2019.   Questi cambiamenti non hanno influito in maniera significativa sul profilo delle professioni sanitarie. L'Italia presenta un numero di medici per 1.000 abitanti superiore alla media europea (5,35 contro 4,07), a fronte di un numero di infermieri al di sotto della media (6,86 per mille contro 8,26).  Sul fronte dei medici, la preoccupazione risiede soprattutto in "alcune specializzazioni di elevata utilità sociale (per es.

  Medicina Emergenza Urgenza, Anestesia e Rianimazione, Radioterapia, Microbiologia e Virologia)", si legge nel rapporto. In queste specialità la carenza attuale rischia di protrarsi a causa del "numero elevato di borse non assegnate".  Diverso il caso degli infermieri: da qui al 2035, saranno circa 78 mila quelli che raggiungeranno l'età pensionabile.  Molti di loro rischiano di non essere sostituiti.

L’Italia è uno dei Paesi più anziani al mondo: oltre il 24% della popolazione ha più di 65 anni, e secondo le proiezioni Eurostat la quota salirà al 34,6% entro il 2050. Questo significa un aumento costante della domanda di cure croniche e assistenza a lungo termine.Il Servizio sanitario nazionale, nato con l’idea di garantire universalità e equità, si trova così a dover rispondere a una domanda crescente con un capitale umano non solo insufficiente numericamente, ma anche distribuito in modo diseguale tra le professioni e i territori. Agenas, nel suo rapporto 2023, parla senza mezzi termini di “squilibri strutturali”: da un lato un numero elevato di medici ma con età media molto avanzata, dall’altro una carenza cronica di infermieri e Oss, figure indispensabili per la presa in carico quotidiana dei pazienti.

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Negli ultimi dieci anni i posti a Medicina sono raddoppiati, passando da circa 10.600 nel 2014 a oltre 24.000 nel 2025. Anche le borse di specializzazione hanno superato quota 15.000, con l’obiettivo di coprire il fabbisogno nazionale. Tuttavia, l’aumento quantitativo non ha risolto gli squilibri qualitativi. Alcune specialità fondamentali per il funzionamento del sistema, come emergenza-urgenza e anestesia e rianimazione, restano tra le meno scelte dai giovani. Segno che non basta ampliare i numeri: bisogna rendere queste discipline più attrattive con condizioni di lavoro migliori e prospettive di carriera chiare. Sul fronte infermieristico, il quadro è ancora più preoccupante. Pur con un aumento progressivo dei posti a bando (oltre 20 mila nel 2025), le domande di iscrizione sono crollate. Nel 2011 c’erano quasi tre richieste per ogni posto; oggi il rapporto è sceso a 1:1. Per la prima volta, i corsi di laurea in Infermieristica rischiano di avere posti vacanti. Ciò significa che, anche se il numero di laureati resterà alto nei prossimi anni (Agenas stima circa 73 mila entro il 2029), non basterà a coprire le uscite per pensionamento.

Il problema della formazione si intreccia con quello della fuga all’estero. Ogni anno centinaia di giovani medici e infermieri, una volta laureati, scelgono di trasferirsi in Paesi dove la professione è più valorizzata. Germania, Svizzera e Regno Unito sono le mete principali.Le ragioni sono molteplici: retribuzioni più alte, carichi di lavoro più sostenibili, percorsi di carriera più chiari. È un fenomeno che riguarda soprattutto gli infermieri, ma non risparmia i medici, in particolare i neo-specialisti che faticano a trovare contratti stabili nel SSN. Questo significa che il Paese investe risorse nella formazione di professionisti che poi offrono le proprie competenze a sistemi sanitari concorrenti.

Alle carenze di numeri si aggiungono le diseguaglianze territoriali. Un cittadino ligure può contare su 6,8 infermieri del SSN ogni mille abitanti, un siciliano su appena 3,5. Differenze simili emergono anche per gli OSS e per i medici di famiglia: in dieci anni l’Italia ha perso oltre 7.200 medici di base e quasi 1.000 pediatri di libera scelta, con un impatto soprattutto sulle aree periferiche. Il risultato è un sistema sempre più frammentato: liste di attesa che si allungano, pronto soccorso sotto pressione, assistenza domiciliare che rischia di restare scoperta dopo la fine dei fondi Pnrr. In prospettiva, senza interventi decisi, l’universalismo del SSN rischia di trasformarsi in un principio sempre più teorico. Il rapporto Agenas mette in fila numeri che non lasciano spazio a ottimismo: troppi pochi infermieri, medici numerosi ma anziani, ondate di pensionamenti in arrivo e una scarsa attrattività delle professioni sanitarie. È un campanello d’allarme che riguarda non solo chi lavora in corsia, ma ogni cittadino che usufruisce del Servizio sanitario. La crisi del capitale umano in sanità non si risolve con interventi spot. Servono politiche coordinate su formazione, stipendi, carriere e distribuzione territoriale. In gioco non c’è solo il futuro delle professioni, ma la sostenibilità stessa del SSN. "Da qualche anno, nonostante l'incremento del numero di posti a bando" dalle università, "si nota una progressiva riduzione delle domande", prosegue il documento. Se il trend sarà confermato non è possibile "assicurare che l'attuale offerta formativa sia sufficiente a neutralizzare l'effetto della gobba pensionistica", conclude.

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