Il primario era in reperibilità aggiuntiva: non si era recato con sollecitudine a visitare un paziente già affidato alle sue cure
Rischia grosso il responsabile del reparto ospedaliero che non si rechi con sollecitudine a visitare un paziente già affidato alle sue cure, facendo conto sul fatto di essere in reperibilità "aggiuntiva" e non primaria. Sì rischia, infatti, il licenziamento disciplinare per violazioni degli obblighi indicati dal Codice di comportamento come spiega la Cassazione con l'ordinanza n. 18883, che ha respinto il ricorso di un chirurgo (clicca qui per scaricare il documento completo) nonostante sia stato assolto per la morte del paziente.
Il fatto
Un paziente, operato nel pomeriggio di prostatectomia radicale in laparoscopia per l’asportazione di un carcinoma, intorno alle 22.
Dopo circa dieci minuti è annotata una "ripresa della perdita ematica” e si procede con una nuova emotrasfusione. Alle 01.00 e ancora annotata perdita ematica di livello del drenaggio. Alle 02,20 l'anestesista rianimatore decide di riportare il paziente in sala operatoria. Alle 03.05. ulteriori 30 cc di liquido siero ematico fuoriescono dal drenaggio. Alle 03,30 vengono somministrare altre due sacche di sangue: alle 04.10 il paziente è sottoposto a un secondo intervento di "laparatomia esplorativa” eseguito da altri due medici: la diagnosi con cui il paziente è di nuovo portato in sala operatoria e di shock emorragico postoperatorio. In corso di intervento sono somministrate 4 sacche di sangue e una sacca di plasma. Si procede a emostasi con clip metalliche di una vena otturatoria che sanguina. Alle 05.00 si constata il decesso del paziente.
Le motivazioni
Al chirurgo licenziato viene contestato di essersi presentato nel reparto urologia solo alle 01.30. dopo diverse ore dalla chiamata degli infermieri dello stesso reparto, pur essendo nel turno di pronta reperibilità integrativa (cd. II reperibilità) e di aver ritardato con il suo comportamento gravemente omissivo e professionalmente non etico, l'intervento chirurgico che si presentava necessario e urgente.
Il datore di lavoro qualificava tale comportamento come violazione del codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e in particolare degli obblighi di evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o alla immagine della pubblica amministrazione, di adempiere le proprie competenze nel modo più semplice ed efficiente nell'interesse dei cittadini e assumere le responsabilità connesse ai propri compiti, di non ritardare né affidare ad altri dipendenti il compimento di attività e I ‘adozione di decisioni di propria spettanza.
L’ordinanza
Il professionista ha contestato il licenziamento facendo rilevare che nel processo penale era stato assolto con sentenza passata in giudicato. La Cassazione però ha respinto il ricorso e rilevato che secondo la Corte d’Appello il comportamento che aveva determinato il licenziamento non consisteva nell’aver procurato la morte del paziente, ma aver ritardato il suo arrivo in ospedale. Secondo i giudici, il medico avrebbe dovuto arrivare senza ritardo in reparto e visitare il malato per accertare personalmente, anche essendo apicale, lo stato della situazione che gli era stata descritta e adottare le misure ritenute del caso. Questa valutazione è autonoma rispetto alla responsabilità penale per la morte del paziente, con la conseguenza che la Corte d’Appello ha avuto ragione ad avallare il licenziamento.
“Correttamente – si legge nell’ordinanza - in ragione del quadro normativo primario e delle declaratorie contrattuali, il datore di lavoro contestava al ricorrente la violazione dei seguenti obblighi desumibili dal codice di comportamento (…) : obbligo di evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o alla immagine della pubblica amministrazione; obbligo di adempiere le proprie competenze nel modo più semplice ed efficiente nell’interesse dei cittadini e assumere le responsabilità connesse ai propri compiti; obbligo di non ritardare né affidare ad altri dipendenti il compimento di attività e l’adozione di decisioni di propria spettanza. salvo giustificato motivo”.
“Come questa Corte ha già avuto modo di affermare – continua la Cassazione - in tema di licenziamento per giusta causa, l’accertamento dei fatti e il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva adottata sono demandati all’all’apprezzamento del giudice di merito, che, anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata contrattualmente, è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda. con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione. è incensurabile in sede di legittimità”.
La Cassazione conclude, rigettando il ricorso e dando ragione alla Corte d’Appello e all’Azienda, che “considerando la posizione del lavoratore nell’Azienda, il grado di affidamento delle mansioni affidategli anche in relazione alla specifica vicenda capo equipe e dirigente dell'Unità Operativa di Urologia e dunque facendo applicazione anche del principio di proporzionalità in relazione alla clausola generali della giusta causa, la Corte d’ Appello, applicando correttamente i principi enunciati da questa Corte in materia. ha valutato la legittimità e congruità della sanzione inflitta prevista dalla contrattazione, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con accertamento dei fatti e successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva che, in quanto sorretta da adeguata e logica motivazione sopra richiamata. si sottrae a censura”.
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