Lo hanno verificato i ricercatori dell'Istituto 'Mario Negri' di Milano utilizzando cellule e animali di laboratorio insieme a tessuti di liposarcoma ottenuti da pazienti
La combinazione di due farmaci, un antitumorale e un antidiabetico, ha trasformato un liposarcoma, da tumore maligno in tessuto simile al grasso normale. Lo hanno verificato i ricercatori dell'Istituto 'Mario Negri' di Milano utilizzando cellule e animali di laboratorio insieme a tessuti di liposarcoma ottenuti da pazienti. Lo studio, pubblicato su Clinical Cancer Research, ha usato il farmaco antitumorale trabectedina e il pioglitazone, farmaco finora utilizzato per la terapia del diabete, dimostrando che la loro combinazione fa regredire questo tumore, variante più aggressiva del liposarcoma mixoide, e ne impedisce la ricrescita.
Un importante contributo alla ricerca - sostenuta dalla Fondazione Airc - è stato dato da Roberta Frapolli, responsabile della Terapia Sperimentale Preclinica del Mario Negri, che ha messo a punto i modelli sperimentali delle forme più aggressive di liposarcomi mixoidi. "Senza quei modelli non avremmo potuto raggiungere questi risultati - sostiene Maurizio D'Incalci, capo Dipartimento Oncologia del Mario Negri -. Sono i migliori modelli di questa malattia finora sviluppati al mondo perché risultano predittivi di quanto accade nel paziente". Per il successo dello studio è stata essenziale anche la collaborazione coi clinici dell'Istituto Tumori di Milano guidati da Paolo Casali e un ruolo importante è stato svolto dalla patologa Silvana Pilotti che per prima ha intuito come con la combinazione dei due farmaci il liposarcoma potesse acquisire caratteristiche più simili a quelle del tessuto normale.
Le sue osservazioni sono state studiate dall'Unità di Genomica Traslazionale del Mario Negri diretta da Sergio Marchini che con l'aiuto dei ricercatori bioinformatici del suo gruppo ha ricostruito i meccanismi molecolari del differenziamento adipocitario del tumore. "Se i risultati ottenuti in laboratorio si confermassero in clinica, all'interno di uno studio pilota in via di sviluppo - conclude D'Incalci - questo sarà il secondo caso, dopo quello della terapia della leucemia promieolocitica con l'acido retinoico, in cui una terapia antitumorale funziona non perché uccide le cellule tumorali, ma perché le differenzia, cioè le fa diventare cellule normali".
fonte: Clinical Cancer Research
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