Per la prima volta al mondo considerata la combinazione di due biomarcatori, misurati con prelievi del sangue, in grado di dare risposte in soli 15 giorni dall’inizio della terapia
E' l'oncologo napoletano Michelino de Laurentiis a coordinare uno studio tutto italiano sul tumore della mammella su cui sono puntati gli occhi del mondo e che verrà presentato il prossimo 6 giugno al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) che si è aperto ieri a Chicago. Uno studio condotto interamente nel nostro Paese (BioItaLEE) che illustra i dati della combinazione di due biomarcatori che potrebbero fornire informazioni prognostiche e predittive nelle pazienti con tumore della mammella avanzato o metastatico positivo per i recettori ormonali e negativo per il recettore 2 del fattore umano di crescita epidermica (HR+/HER2-). Nello studio BioItaLEE le pazienti sono state trattate in prima linea con ribociclib, inibitore di CDK4/6, in combinazione con letrozolo (terapia ormonale). L’obiettivo della ricerca è studiare biomarcatori che possano, dopo solo 15 giorni, aiutare a comprendere l’andamento delle cure. I biomarcatori sono caratteristiche del tumore che ci consentono di identificare i pazienti che rispondono o meno a un determinato trattamento. In questo modo migliorano sia la comprensione della malattia metastatica sia le possibilità di sopravvivenza a lungo termine.
"Il trattamento standard dei tumori mammari positivi per i recettori ormonali è la combinazione di un inibitore di cicline con il trattamento ormonale – afferma Michelino De Laurentiis, Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, Istituto Nazionale Tumori G. Pascale’ di Napoli -. Ribociclib è l’unico farmaco della classe degli inibitori CDK4/6 in grado di vantare una totale coerenza e solidità di risultati. Ha infatti dimostrato un vantaggio in sopravvivenza globale in donne in pre/peri e postmenopausa e con diverse combinazioni ormonali. I dati di BioItaLEE non sono ancora definitivi, ma vanno nella direzione della conferma dell’efficacia già dimostrata nello studio MONALEESA-2, con metà delle pazienti vive oltre 5 anni. BioItaLEE per la prima volta al mondo ha considerato la combinazione di due biomarcatori, misurati con prelievi del sangue, cioè con biopsia liquida".
Questi due biomarcatori rappresentano un presidio più precoce rispetto alla TAC tradizionale per monitorare l’andamento della cura. Ancora più importante è lo scenario che si potrebbe aprire qualora i dati dello studio venissero confermati: il successivo passo di questo studio sarà quello di identificare le mutazioni responsabili del DNA tumorale e, quindi, indirizzare le pazienti verso trattamenti alternativi. "Siamo di fronte – sottolinea Grazia Arpino, professoressa di Oncologia Medica all’Università Federico II di Napoli, presente anche lei a Chicago – a dati preliminari che possiamo definire generatori di ipotesi perché tracciano una strada che dovrà essere confermata con ulteriori studi clinici. La loro utilità però potrebbe essere importante perché, dopo solo 15 giorni dall’inizio della terapia, potremmo essere in grado di capire come sta rispondendo la paziente e far fronte ad eventuali resistenze".
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