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Covid: si va verso il vaccino mono dose

Infettivologia Redazione DottNet | 24/02/2021 21:04

Il primo è quello prodotto da Johnson & Johnson. Ihme: se l'Italia non accelera sui vaccini si rischiano oltre 30mila morti entro giugno

 Dopo i test positivi in Israele e Regno Unito si fa strada l'ipotesi di un'unica somministrazione del vaccino anti-Covid. "E' un tema che è stato sollevato durante le consultazioni" tra il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e i leader Ue e che sarà discusso durante il summit di stamani. Tuttavia, secondo fonti interne, "non avremo una chiara risposta dal Consiglio" che ha comunque confermato l’interesse dei leader per il metodo che permetterebbe di raddoppiare i numeri della campagna d’immunizzazione. Michel ha avuto ieri pomeriggio un colloquio anche con il capo del governo italiano Mario Draghi. Il primo vaccino monodose è quello prodotto da Johnson & Johnson, anche in Europa e in Italia è molto atteso, con ben 26 milioni di dosi prenotate dal nostro Paese, anche se ci sono le prime notizie (in Usa) di ritardi nella produzione. Il vaccino Johnson & Johnson è basato su vettori virali che utilizzano adenovirus che non possono replicarsi e che veicolano i geni del Covid nelle cellule. Può essere conservato alle normali temperature di refrigerazione per almeno tre mesi, il che ne rende la distribuzione notevolmente più semplice.

Il vaccino ha avuto un tasso di efficacia complessiva del 72% negli Stati Uniti con un’efficacia dell’86% contro le forme gravi di malattia da Covid-19, anche se con una diminuzione quando si trattava di persone di più di 60 anni. La FDA potrebbe autorizzare il vaccino già sabato, a seconda del risultato del voto del suo comitato consultivo sui vaccini che sarà annunciato venerdì. I documenti appena rilasciati, che includono la sperimentazione clinica su 45mila persone, hanno presentato prove che il vaccino è sicuro, con effetti collaterali notevolmente più lievi rispetto ai vaccini Pfizer e Moderna e senza segnalazioni di gravi reazioni allergiche. Tra l'altro il vaccino pare abbia avuto un tasso di efficacia complessiva del 64% in Sud Africa, di sette punti superiore rispetto ai dati precedenti rilasciati dalla società e dell’82% contro malattia grave (sempre nel Paese africano). È finora il "migliore" a disposizione contro la variante: l’iniezione di Novavax ha avuto un’efficacia del 49% in Sud Africa e una piccola sperimentazione del vaccino AstraZeneca-Oxford ha scoperto che questo offriva una protezione non sufficiente, tanto che il governo sudafricano ha abbandonato un milione di dosi di vaccini AstraZeneca e la scorsa settimana ha iniziato a somministrare il vaccino di Johnson & Johnson, arrivando a più di 32mila persone

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Occorre, dunque, accelerare sui vaccini: l'Italia è indietro e di questo passo si rischia di andare incontro a una terza ondata dalle conseguenze disastrose come si legge nell’ultimo report dell’Institute for health metrics and evaluation (Ihme), centro di ricerca di Seattle creato nel 2007 dalla fondazione di Bill Gates e ritenuto uno dei centri più avanzati al mondo per le statistiche sanitarie globali. Secondo lo studio tra oggi e il prossimo giugno potrebbero morire in Italia altre 28 mila persone contagiate dal Covid-19 e dalle varianti del virus. Nello scenario peggiore, il numero di vittime potrebbe salire a 33 mila. Ma se la campagna di vaccinazione procederà a ritmo sostenuto e senza intralci, 10 mila vittime saranno evitate. E altre mille vite saranno salvate se tutti continueranno ad indossare la mascherina, un’abitudine che è ormai consolidata per oltre il 95 per cento della popolazione italiana, con un livello di rispetto e attenzione tra i più alti al mondo.

In questo quadro, i ricercatori prevedono che in Italia la terza ondata raggiungerà il proprio apice tra la metà di marzo e la metà di aprile (con un possibile prolungamento nello scenario peggiore). Il numero dei decessi, in questa evoluzione, dovrebbe attenuarsi, fino ad arrivare vicino allo zero, nel prossimo giugno inoltrato. Ma l’aspetto più critico riguarda la pressione sul sistema sanitario. "In un certo momento, fino a giugno prossimo, 15 Regioni avranno un livello di stress elevato o estremo sugli ospedali e 18 Regioni si troveranno nella stessa condizione anche per i reparti di terapia intensiva". Gli epidemiologi e gli analisti di Seattle lavorano sul panorama globale, ma scendono anche nel dettaglio italiano: le Regioni che vanno incontro alle situazioni più nere per la gestione delle terapie intensive sono Marche, Umbria e Campania, più le province di Trento e Bolzano. Molto a rischio anche Puglia, Piemonte e Abruzzo. Ma praticamente quasi tutte le Regioni si troveranno nella situazione di "stress elevato".

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