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Epatite B, studio sull'utilizzo di Bepirovirsen

Farmaci Redazione DottNet | 17/11/2022 16:49

I farmaci antivirali hanno già ottenuto ottimi risultati sull’epatite C e ora vengono testati sull’epatite B e virus Delta

Sono stati pubblicati sull’ultimo numero della prestigiosa rivista New England Journal of Medicine, i risultati di uno studio che per l’Italia ha visto la partecipazione dalla Medicina ad indirizzo Metabolico Nutrizionale dell’Ospedale Civile di Baggiovara, diretta dal prof. Pietro Andreone, docente UNIMORE, insieme all’Ospedale Sacco di Milano. 

Lo studio ha riguardato l’utilizzo di BEPIROVIRSEN, un nuovo farmaco appartenente alla classe degli oligonucleotidi antisenso, in soggetti affetti da epatite cronica B in terapia o meno con antivirali. I farmaci antivirali hanno già ottenuto ottimi risultati sull’epatite C e ora vengono testati sull’epatite B e virus Delta, che necessita del virus B per riprodursi e infettare. Lo studio ha analizzato 457 pazienti, reclutati in 123 centri in 22 stati. La Medicina Metabolica dell’Ospedale Civile ha contribuito per 7 pazienti, 4 dei quali sono risultati idonei per lo studio.

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Gli oligonucleotidi antisenso sono una nuova classe di molecole in grado di “frammentare” gli RNA virali evitando la produzione di nuove proteine e quindi l’assemblaggio di nuovi virus – spiega il prof. Pietro Andreone – I risultati di questo studio sono davvero incoraggianti. Il 10% degli ammalati è riuscito ad ottenere la eliminazione della proteina HBsAg, che è la principale responsabile dello squilibrio immunologico che causa la cronicizzazione dell’infezione. Un risultato impensabile sino a qualche anno fa, che dovrà essere confermato su un numero più ampio di pazienti”.

L’epatite cronica B è una malattia infettiva acuta che interessa il fegato e ne provoca l’infiammazione. L’agente responsabile è un virus, chiamato virus dell’epatite B (HBV), che presenta un pronunciato tropismo per il fegato: una volta penetrato nell’organismo, il virus raggiunge gli epatociti dove avviene l’attività replicativa; tuttavia, HBV è in grado di infettare in misura minore anche organi come rene, milza e leucociti. Il virus dell’epatite è più comunemente trasmesso attraverso il contatto con sangue o altri fluidi corporei (liquido seminale, fluido vaginale), nonché da madre a figlio durante il parto. Per quanto riguarda l’epatite B in Italia abbiamo una bassa prevalenza di infezioni grazie alla introduzione della vaccinazione agli inizi degli anni ’90. Tale infezione cronica, comunque, affligge circa lo 0,5% della popolazione italiana ma è molto più frequente negli immigrati che giungono dall’Africa, dall’Asia e dalle regioni dell’Europa orientale. I farmaci che oggi abbiamo disponibili sono degli antivirali molto efficaci e ben tollerati, l’entecavir e il tenofovir, ma hanno l’inconveniente che nella maggior parte dei pazienti il trattamento è per un periodo indefinito. “Se i risultati del nostro studio saranno confermati in una platea più ampia di pazienti, allora   saremo davvero vicini a una terapia che consenta la sospensione dell’antivirale e la guarigione dall’epatite”. Ha concluso il prof. Andreone.

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La ricerca è stata coordinata dall’Università di Padova e pubblicata su Cancer

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