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Accordo tra Regioni e Governo: al via la riforma delle Case di comunità con medici di famiglia 7 giorni su 7. Tutte le novità

Medicina Generale Redazione DottNet | 29/05/2025 16:31

Tra i punti principali l'istituzione della specializzazione e la possibilità di optare per la dipendenza o su forme di accreditamento. Resta il rapporto fiduciario

Un anno di polemiche e di battaglia, ma alla fine si è giunti a una quadra: le Regioni trovano l’accordo sulla riforma della sanità territoriale, vincolando - o come dipendenti o come liberi professionisti in convenzione - i medici di famiglia a prendervi parte per un numero congruo di ore. E' il primo passo per avviare le Case di Comnità, l'anello mancante - e il più importante - per dare forma alla nuova medicina territoriale che dovrà anche far respirare i pronto soccorso negli ospedali e ridurre le liste d'attesa. I punti principali sono l'Istituzione della specializzazione per i medici di cure primarie e la possibilità di optare per la dipendenza, oltre alla trasformazione dell’attuale modello convenzionale in forme di accreditamento, preferibilmente per gruppi di medici operanti nelle Case della Comunità. E inoltre prevista la possibilità per i medici convenzionati di optare per la dirigenza medica con percorsi agevolati di riconoscimento dei titoli.

Le Case di Comunità, rimaste finora scatole vuote, dovranno 12 se non 24 ore su 24, sette giorni su sette, offrendo anche visite specialistiche e accertamenti diagnostici di primo livello, come ecografie o elettrocardiogrammi. Un cambiamento radicale che non piace però ai medici di famiglia che tengono i loro studi aperti in media per 14 ore settimanali e che con la rivoluzione in arrivo dovranno lavorarne 36, di cui almeno la metà nei maxi ambulatori da aprire tassativamente entro giugno del 2026 per non perdere i finanziamenti europei.

"Posso anche passare alla dipendenza - spiega a Dottnet un medico di medicina generale napoletano con 1500 pazienti - ma pretendo gli stessi orari di un medico ospedaliero. Non è pensabile che dopo aver fatto le mie ore di lavoro, devo poi andare in giro per le domiciliari o per continuare le visite". La Fimmg non vuole i medici di famiglia dipendenti (anche perché poi l'Enpam perderebbe una notevole fetta di contributi: giova ricordare che Fimmg e Enpam hanno un legame stretto perché nel Cda dell'Ente siedono componenti del sindacato), una figura che invece è stata ribadita nel documento del quale hanno discusso mercoledì pomeriggio il titolare della Salute, Orazio Schillaci, e il presidente della Conferenza delle Regioni, il leghista Massimiliano Fedriga. Un incontro che è servito a risanare la doppia frattura che si era creata tra i due proprio su riforma territoriale e liste di attesa. "L’incontro con il presidente Fedriga in merito al decreto sui poteri sostitutivi è stato positivo. Abbiamo trovato un punto di incontro che ci permette di rendere pienamente operativa la legge sulle liste d’attesa. Ora dobbiamo andare avanti con l’attuazione delle norme per il bene dei cittadini e su questo il presidente Fedriga mi ha assicurato la massima collaborazione da parte di tutte le Regioni. Non possiamo permetterci ritardi sull’abbattimento delle liste d’attesa, un tema tanto rilevante per la tutela della salute dei cittadini", fanno sapere dal Ministero in una nota.

Il documento presentato da Fedriga - che, anche se non del tutto, è stato approvato dal Ministro Schillaci - prevede che le Regioni stesse possano decidere di assumere i nuovi medici come dipendenti per coprire magari aree dove oggi nessuno vuole andare. La seconda è quella di lasciare l’opzione tra libera professione e dipendenza. La terza è l’ipotesi di “accreditare” coop di medici alle quali assegnare il servizio nelle Case di comunità. Il documento prevede poi “un periodo transitorio” in cui anche gli specializzandi potrebbero essere reclutati per far partire le nuove strutture, mentre i medici di famiglia già in servizio avrebbero anche loro la possibilità di decidere se passare al contratto di dipendenza, che comunque offre più tutele.

Al Ministero della Salute, invece, preferiscono che siano i medici a scegliere il regime contrattuale (la dipendenza ha diviso sindacati e Ordine) purché  lavorino nei maxi ambulatori dalle 18 ore settimanali in su, a seconda del numero di assistiti. Che è poi quel che più conta e che sin dall’inizio ha proposto Schillaci. Pieno accordo invece sul punto uno delle riforma disegnata dalle Regioni, che prevede di "trasformare il modello formativo dei medici da corso di formazione gestito dalla Regioni a corso di specializzazione universitaria". Detta così sembra una cosa di poco interesse per gli assistiti, invece inciderà e molto sulla qualità dell’assistenza erogata, perché oggi il medico di famiglia diventa tale dopo tre anni di corsi gestiti dal suo stesso sindacato mentre d’ora in poi faranno come gli specialisti ospedalieri, e cioè altri 4 anni di studi universitari.

Già, ma qual è nel dettaglio la proposta delle Regioni? Eccole: "in estrema sintesi, è auspicabile che la riforma dell’assistenza medico-generica e pediatrica non prescinda dai seguenti punti di attenzione":

1. Trasformare l’attuale modello formativo dei medici del ruolo unico da corso di formazione specifica gestito dalle Regioni a corso di specializzazione universitaria (l’assunzione in qualità di dirigenti medici nelle Aziende del SSN, infatti, presuppone obbligatoriamente il possesso di una specializzazione); questo a prescindere da quello che sarà, in concreto, il regime di impiego del medico (dipendenza o convenzione). Tale aspetto evidentemente non è necessario per i PLS;

2. Individuare parametri di riferimento standardizzati, sia in termini di rapporto medico/residente per definire il numero di medici e pediatri per le cure primarie di cui si necessita per l’erogazione del servizio e per l’attivazione di idonei corsi di specializzazione a livello nazionale, con garanzia di attivare in ogni Regione e Provincia autonoma almeno un corso di specializzazione e assegnazione di borse di studio congrue rispetto alla popolazione residente, sia in termini di quota assistito/residente per definire le risorse economiche necessarie alla copertura dei fattori di produzione per l’erogazione del servizio;

3. Consentire alle Regioni e alle Province autonome di programmare i posti di volta in volta da coprire per l’assistenza medico-generica e pediatrica ricorrendo, a seconda delle esigenze e delle peculiarità territoriali, al reclutamento di dirigenti medici oppure al convenzionamento sulla base dell’ACN vigente;

4. Introdurre un regime transitorio, nelle more che entrino a regime i corsi di specializzazione universitaria di cui al punto 1, al fine di consentire, fin da subito, il reclutamento di dirigenti medici per le cure primarie (ipotizzando, per esempio, che il reclutamento possa avvenire anche prima del termine del corso di specializzazione o definendo le equipollenze con altre specialità);

5. Integrare il DPR n. 483/1997 per inserire i dirigenti medici che si occupino di cure primarie nel sistema di reclutamento della dirigenza medica e definirne il percorso di confluenza nel CCNL della dirigenza dell’Area Sanità con apposito atto di indirizzo del Comitato di Settore (in questo momento, non esiste nessun contratto collettivo nazionale che permetta alle Regioni e alle Province autonome di assumere personale da adibire alla erogazione delle cure primarie; eventualmente si potrebbe trovare una forma contrattuale da applicare per analogia all’attività svolta presso le strutture previste dal PNRR);

6. Consentire agli attuali MMG/PLS in convenzione che volessero farlo di optare per la dirigenza medica, con percorsi agevolati in termini di riconoscimento dei titoli abilitativi (così come già accaduto in passato per altre discipline specialistiche);

7. Rendere più appetibile il ruolo dei medici per le cure primarie, consentendo ai nuovi assunti o ai nuovi convenzionati la facoltà di accrescere il proprio patrimonio di conoscenze accedendo, anche in sovrannumero e mitigando i vincoli orari di frequenza attualmente previsti, a talune scuole di specializzazione di particolare interesse nell’ambito delle cure primarie (ad es. geriatria; cardiologia; etc.);

8. Prevedere la possibilità di trasformare l’attuale modello convenzionale, basato su ACN, in una forma di vero e proprio accreditamento, con modifica sostanziale di ACN ovvero 3 approdando ad Accordi del tipo privato-accreditato, rivolti preferibilmente non al singolo medico ma a gruppi di medici che operino prevalentemente nelle Case della Comunità;

9. Prevedere, fin da subito, nelle more che vadano a regime i modelli sopra delineati, obblighi normativamente cogenti per gli attuali medici convenzionati, ove necessario, anche al fine di garantire l’attuazione di quanto già previsto dall’ACN 2024, in termini – per esempio – di debito orario e di prestazioni da garantire, di luoghi ove operare prevalentemente e di strumenti informatici da adottare, che siano sottratti alla contrattazione collettiva di livello nazionale e locale, in modo tale da assicurare l’effettivo avvio delle strutture e dell’organizzazione prevista dal PNRR;

10. Definire le ricadute economiche complessive della riforma, prevedendone la copertura integrale.

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