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Danno da effetto collaterale dei farmaci: quando a pagare è il medico

Medlex Redazione DottNet | 29/06/2021 18:38

Cassazione: condannato un oculista per una terapia inadeguata che ha prodotto danni al fegato

Gli effetti collaterali dei farmaci sono senza dubbio la conseguenza peggiore per il paziente. Ma potrebbe esserla anche per il medico prescrittore che in diversi casi è stato chiamato a risarcire il danno al paziente. Vediamo, dunque, chi e quando risarcisce il danno da effetti collaterali dei farmaci, se una di queste complicanze si verifica davvero, oppure se si manifesta una malattia non contemplata nelle avvertenze.

Una nuova sentenza della Corte di Cassazione (Cass. ord. n. 18283 del 25.06.2021) ha affermato che un medico oculista deve risarcire al paziente i danni per gli effetti collaterali provocati al fegato e ai reni da una terapia inadeguata. Non si tratta di una sentenza isolata, riporta la Leggepertutti.it: sono piuttosto frequenti le pronunce dei giudici di merito e della Suprema Corte che condannano case farmaceutiche, strutture ospedaliere e medici liberi professionisti a risarcire i pazienti del danno da effetti collaterali dei farmaci, quando il danno viene dimostrato nella sua consistenza e nella riconducibilità al medicinale che lo ha provocato.

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Quando risarcisce la casa farmaceutica

Secondo la Suprema Corte, le case farmaceutiche esercitano un’attività tipicamente pericolosa, in quanto in grado di produrre rischi sulla salute degli assuntori dei farmaci. Le aziende produttrici, essendo scientificamente e industrialmente attrezzate per la prevenzione, devono governare al meglio quei rischi, e risponderanno dei danni provocati dalle sostanze contenute nei medicinali, anche se non c’è colpa o dolo, a meno che gli effetti collaterali non fossero stati debitamente segnalati nel foglietto illustrativo.

In particolare, la Cassazione (Cass. sent. n. 6587 del 07.03.2019) ha affermato che la casa farmaceutica si libera dalla responsabilità risarcitoria se dimostra di aver reso edotti, preventivamente e in maniera adeguata, i consumatori dei rischi di effetti collaterali insiti nella somministrazione del farmaco. Questa prova liberatoria deve essere fornita dall’azienda farmaceutica, che dovrà dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire ed evitare i possibili danni alla salute dei pazienti, e, in particolare:

  • nella fase di produzione industriale del farmaco, di aver adottato e rispettato tutti i protocolli previsti dalla legge e dettati dall’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) anche nella fase di sperimentazione, che deve obbligatoriamente precedere la messa in commercio;
  • nella fase di distribuzione e commercializzazione, di aver segnalato in modo completo e chiaro agli assuntori, nel foglietto illustrativo, tutti i possibili effetti collaterali indesiderati che il farmaco potrebbe provocare, anche se molto rari.

Quindi, secondo questo orientamento dei giudici di piazza Cavour, riporta laleggepertutti.it, il foglietto illustrativo, se è esaustivo ed aggiornato in base alle più recenti conoscenze scientifiche, può bastare ad escludere il risarcimento dei danni per le patologie manifestate dai pazienti. Ben diverso è il caso del farmaco difettoso in partenza: qui il risarcimento da parte della casa farmaceutica scatta a prescindere dall’elencazione degli effetti indesiderati, perché il prodotto non aveva raggiunto gli standard qualitativi e di sicurezza necessari per i medicinali messi in commercio o usati per le somministrazioni ospedaliere.

Il consenso informato del paziente

Per la somministrazione di terapie farmacologiche, come anche per l’esecuzione di interventi chirurgici, il medico deve munirsi del consenso informato del paziente prima di praticare le cure, salvi i casi di assoluta necessità ed urgenza, come quando vi è un immediato pericolo di vita che non ammette ritardi nell’esecuzione della terapia o dell’intervento.

La mancata acquisizione del consenso informato da parte del sanitario curante fa scaturire l’obbligo di risarcimento del danno alla salute del paziente, che ha il diritto all’autodeterminazione, cioè di decidere consapevolmente e in modo informato se sottoporsi o meno alle cure indicate e suggerite dal medico. Da ciò sorge il dovere di specifica informazione, da parte del medico nei confronti del paziente, di tutti i possibili rischi insiti nella terapia indicata, compresi gli effetti collaterali più rari ma comunque prevedibili.

Quando risarcisce il medico

Nell’ultima pronuncia emanata sul punto, la Cassazione ha, dunque, ribadito che il «consenso libero e informato del paziente» deve consentirgli di «scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, salvo che ricorra uno stato di necessità».

La struttura ospedaliera, o il singolo medico curante, viene meno a questo fondamentale obbligo di ricevere il consenso informato prima di prescrivere o somministrare farmaci «quando omettono di riferire al paziente della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo».

Per questi motivi i giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso di risarcimento danni avanzato da un paziente nei confronti del suo oculista, che aveva curato un’uveite somministrando un medicinale (non previsto dai protocolli e riconosciuto inadatto per quel quadro clinico), da cui erano derivate patologie al fegato e ai reni: il malato non era stato informato di queste possibili conseguenze.

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