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Il Covid non deve far abbassare la guardia sull'Ictus

Cardiologia Redazione DottNet | 19/07/2022 19:03

Fondamentali le cure immediate

Dopo la progressiva discesa nel numero di casi, ricoveri e decessi dall'ultima "ondata" Covid-19 dell'inverno 2022, dall'inizio del mese di giugno si è purtroppo registrata una ripresa sempre più sostenuta della circolazione del virus, il cui picco è previsto dagli esperti nelle prossime settimane. La situazione, in termini di pressione sugli ospedali e numero di decessi, non è affatto paragonabile a quanto accaduto in precedenza: i contagi sono tornati a salire, ma, grazie all'immunità acquisita, l'impatto resta contenuto. La variante Omicron è di fatto estremamente più contagiosa, ma meno virulenta delle precedenti: una caratteristica che si traduce in una minore severità della malattia.

Con l’acuirsi della circolazione del virus, anche in questo periodo estivo, sia nel Paese che in tutto il mondo, si potrebbe ripresentare il problema, vissuto negli ultimi due anni, di persone, che, spaventate dalla possibilità di essere contagiate nei Pronto Soccorso o nei Reparti, evitano di rivolgersi ai servizi di emergenza, o lo fanno con grande ritardo, anche in presenza di chiari e riconoscibili sintomi di ictus.

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Questo comportamento di fatto aveva causato, durante le prime "ondate" della pandemia, una minore ospedalizzazione (è stato registrato fino al 50% di ricoveri in meno) e comunque un ritardo nella possibilità di intervenire in modo rapido.

"L’ictus cerebrale è una patologia tempo-dipendente, legata dunque alla tempestività con cui si interviene – dichiara il Prof. Danilo Toni, Direttore Unità Trattamento Neurovascolare Policlinico Umberto I di Roma. La mancata segnalazione di ictus, il non chiamare subito il 112 e, di conseguenza, il ritardo con cui si arriva in ospedale hanno determinato un risultato molto negativo in termini di esiti clinici e temiamo che la situazione possa ripresentarsi".

Anche perché l’aumento della frequenza di ictus è direttamente collegata all’infezione da Covid che determina un aumento della coagulabilità del sangue e quindi un rischio di ictus ischemico con una frequenza che raggiunge il numero di 8 pazienti su 100 affetti da Coronavirus); non solo, gli ictus nelle persone che sono risultate positive a questa malattia virale sono stati anche più gravi.

A.L.I.Ce. Italia ODV, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale, intende quindi rassicurare i cittadini, ribadendo con forza che sono attivi percorsi diagnostici e terapeutici efficienti ed efficaci realizzati ad hoc, già da inizio pandemia, per le persone colpite da ictus.

"Come Associazione che tutela e aiuta le persone colpite da ictus e i loro familiari, abbiamo paura che si possa verificare un ulteriore calo degli accessi al Pronto Soccorso da parte di chi manifesta sintomi che possono essere "campanelli d’allarme" di questa patologia – afferma Andrea Vianello, Presidente di A.L.I.Ce. Italia ODV.

"Fin dall’inizio della pandemia – gli fa eco il Prof. Toni - le Unità Neurovascolari o Centri Ictus (Stroke Unit) dei nostri Ospedali sono riusciti a rispondere al meglio alla situazione di emergenza, gestendo i pazienti in totale sicurezza, istituendo corsie specifiche per il Covid e mantenendo un distanziamento sicuro durante tutto il percorso clinico assistenziale".

Quali sono i sintomi che vanno riconosciuti tempestivamente?

    • non riuscire a muovere o muovere con minor forza un braccio o una gamba o entrambi gli arti dello stesso lato del corpo
    • avere la bocca storta
    • non riuscire a vedere bene metà o una parte degli oggetti
    • non essere in grado di coordinare i movimenti o di stare in equilibrio
    • non comprendere o non articolare bene le parole
    • essere colpito da un violento e molto localizzato mal di testa, diverso dal solito

È dunque fondamentale riconoscere questi segnali il prima possibile e chiamare immediatamente il 112 in modo da poter arrivare velocemente nell’Ospedale dotato del Reparto più idoneo a effettuare trattamenti specifici. Solo in questo modo è possibile ridurre il rischio di mortalità, ma soprattutto gli esiti di disabilità, spesso invalidanti, causati da questa malattia.

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